Lavori in corso... A cinquant'anni dal Concilio
Gaudet Mater Ecclesia. Con queste parole papa Giovanni XXIII aprì l'11 Ottobre 1962 il Concilio Ecumenico Vaticano II. Una grande assemblea a cui presero parte circa 2500 vescovi provenienti da tutto il mondo cattolico chiamati, in un momento storico particolare ancora intimamente segnato dall'orrore delle due guerre mondiali, dei totalitarismi e dei grandi eccidi, ad un compito arduo: riuscire a tornare a parlare di Dio agli uomini del loro (del nostro) tempo in un modo più comprensibile, annunciando lo stesso Vangelo ma in una maniera nuova volendo interpretare "i segni dei tempi". Dopo quattro sessioni di lavoro, caratterizzate a tratti da momenti di aspre e accese discussioni, il Concilio venne chiuso da papa Paolo VI il 7 Dicembre 1965. Cinquant'anni ci separano da questo grande evento definito "nuova Pentecoste" da Giovanni XXIII e da molti visto come un momento di svolta forse non del tutto compreso dagli stessi padri conciliari e forse non del tutto compreso ancora oggi nella sua profondità e nella sua intensità. Certamente grande è l'eredità che il Concilio ci consegna e non solo con riferimento ai diversi documenti - nove decreti, tre dichiarazioni e, in particolare, quattro costituzioni dogmatiche: la Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, la Lumen Gentium sulla Chiesa, la Dei verbum sulla Parola di Dio e la Gaudium et Spes sul ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo - ma anche e soprattutto per tutto ciò che da questi ha preso le mosse. Come non pensare anzitutto alla riscoperta centralità dei testi biblici o alle innovazioni liturgiche e, ancora, all'intuizione di aprirsi ad un confronto con la cultura e con il mondo (è con Paolo VI che si apre la grande stagione dei viaggi apostolici nei cinque continenti) intessendo rapporti con la società per l'impegno comune a favore della pace, della giustizia, delle libertà e, anche, del progresso scientifico. Ma non è tutto. Il Concilio ha rappresentato un punto di svolta anche per un altro aspetto che si ritiene oggi doveroso sottolineare: l'avvicinamento con le altre confessioni cristiane, fino a poco tempo prima osteggiate ma con le quali da allora in poi si è cercato di valorizzare più ciò che unisce e non ciò che divide; l'apertura verso le diverse religioni e in particolare verso l'ebraismo - la dichiarazione conciliare "Nostra Aetate" contiene il ripudio dell'antisemitismo teologico - ; ancora, il rispetto per il mondo dei non credenti con l'affermazione del principio che la fede non può e non deve a nessuno essere imposta con la forza. Tutto ciò, come cristiani del XXI secolo, ci deve rallegrare ma non può certo farci considerare terminata la missione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Papa Montini, nel chiudere i lavori del Concilio, diede una grande prospettiva: quella del Buon Samaritano che si apre all’umanità intera e la soccorre. Nell'anno del giubileo della Misericordia sia questa per ognuno di noi ancora oggi, cinquant'anni dopo, la grande prospettiva che si rinnova per il futuro di una Chiesa che si vuole sempre più in uscita verso ciò che ci è “altro”.