Una Chiesa che odori di… vita vera
Nuvole di incenso profumato che avvolgono i fedeli, luci eccezionalmente sfavillanti, canti spiegati, paramenti ed arredi “buoni”: come in ogni casa, anche in Chiesa nelle grandi occasioni si respira un’aria diversa, di bellezza, di armonia, di gioia, di commozione fugace.
Finita la festa, però, cosa e chi resta? Le difficoltà, la solitudine dei sacerdoti, la stanchezza dei pochi volenterosi che si ostinano a lavorare nella vigna… La fatica e il sacrificio non attirano folle oceaniche, non strappano lacrime ed applausi, non fanno proseliti. La fede non è questo e la Chiesa si poggia sulla fede dei suoi operai.
Lontanissimo lo spirito di condivisione della prima comunità cristiana descritta negli Atti degli apostoli: “erano assidui… nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere… tenevano ogni cosa in comune… spezzavano il pane con letizia e semplicità di cuore! (At. 2, 42-46). Chi può negare che all’interno delle comunità spesso la diffidenza, l’invidia e il pettegolezzo regnino al posto della condivisione, della gioia e della misericordia? Anche nella spiritualità impera il “fai da te”: in Chiesa quando dobbiamo ricevere un sacramento, poi ognuno per sé e la fede si riduce ad un individualistico “credo” che non necessita di condivisione. Il volto caritatevole e solidale della Chiesa di Gerusalemme emerge di rado. Pochi i testimoni credibili. Che Chiesa siamo? Quali prospettive per il terzo millennio? Anche il cristiano “praticante” nutre il dubbio che l’istituzione ecclesiastica senta il peso degli anni e necessiti di un rinnovamento, dall’interno.
I tempi esigono una Chiesa, cioè un popolo di Dio, alla ricerca di una sobrietà e di una tenerezza che contrastano con l’immagine “istituzionale” e i formalismi cui nel tempo siamo stati abituati: nuove sfide morali, politiche, sociali ci attendono e il cristiano è chiamato a mettersi in gioco, a non “vivacchiare”, ad accogliere una proposta di vita che impone di sporcarsi le mani con le cose del mondo, di dimenticare se stesso e di mettersi in ascolto.
Cominciamo da gesti, più che da parole, di misericordia; che la carità non sia un lavacro della coscienza, ma una sana pratica quotidiana; che la fede non si riduca ad un sentimentalismo effimero, ma sia linfa del vissuto quotidiano.