Per Amore, solo per Amore
Non vi è persona dotata di buon senso che non si sia sentita coinvolta emotivamente o ideologicamente dalla questione tanto discussa della stepchild che, secondo il disegno Cirinnà, dovrebbe essere estesa anche alle coppie omosessuali. Questione spinosa che investe, come al solito, la sfera privata non solo di adulti che liberamente fanno le loro scelte di vita, ma anche di minori che queste scelte subiscono. Mi sono chiesta se ci potesse essere differenza tra le attenzioni e le cure date da due madri o due padri (genitore 1 e 2 ) e quelle date da una coppia eterosessuale. La risposta è no, forse. Mi sembra, però, che si escluda dal dibattito una parola che non ha peso sul piano legale, ma su quello morale sì: l’amore. Il rischio è di perdere di vista il senso umano del procreare, che equivale a dire proiettarci verso l’autodistruzione. I figli nati all’interno di una coppia “tradizionale” vengono concepiti, fatte salve le eccezioni su cui i disinvolti sostenitori del provvedimento puntano il dito, all’interno di un progetto di vita che due persone maturano e portano avanti a costo di sacrifici, delusioni e dolori. L’amore, come ci insegna S. Paolo, “…non cerca il suo interesse”, si realizza nel dono di sè. Avere un figlio non è solo una questione giuridica, ma d’amore, di dono di sé. Il legame che nasce nell’utero materno tra madre e figlio e continua dopo la nascita, che si alimenta del battito cardiaco della mamma e del suono della sua voce, non verrebbe ad essere cancellato brutalmente nel caso di una maternità surrogata? Per non parlare, poi, delle paure che una gestante si porta dietro per tutta la gravidanza e che al momento del parto si dileguano perché in quell’atto di grande dolore c’è la gioia e la consapevolezza di avere generato una nuova vita. Quella madre che avrà dato in affitto il suo utero non potrà mai allattarlo o cullarlo, non lo vedrà crescere. E che prezzo avrà questa situazione? Sarà orfano il figlio e orfana anche la madre. Molto si è discusso da più parti sulle implicazioni psicologiche per il bambino. E quelle (immagino disastrose) per una madre (!) che debba convivere con il senso di colpa per aver fatto del proprio figlio una merce ed essere stata privata della sua maternità?
Non mi pare opportuno, poi, fare un parallelo tra donatori di organi e gestanti “in affitto”: per molti pazienti l’unica speranza di guarigione o di sopravvivenza può dipendere da un trapianto; la questione di vita o di morte mi sembra che in questo caso non sussista. Qui è in gioco un “desiderio” di maternità o paternità che scaturisce da un atto di egoismo e non di amore. Madri o padri ad ogni costo!
Di fronte allo scenario che si profila e che già è realtà, risparmiamo le lacrime quando vedremo le immagini di bambini abbandonati negli orfanotrofi, nelle strade a frugare tra i rifiuti o morti su una spiaggia …