L’impegno cattolico nella “più alta ed esigente forma di carità”
Tra qualche giorno, il due Giugno, celebreremo il settantesimo anniversario della Repubblica Italiana. Nella nascita e nella crescita, lungo i decenni, del nostro Stato, fondamentale è stato il contributo, pur costellato di luci e ombre, che i cattolici hanno dato. Senza necessariamente fare un riassunto di quelli che sono stati questi primi settant'anni di vita repubblicana, si vuole focalizzare l'attenzione su pochi ma fondamentali passaggi. Anzitutto il momento del referendum del '46 quando per la prima volta dopo il ventennio, i cittadini hanno potuto partecipare ad una consultazione elettorale. In questi attimi cruciali il movimento cattolico fu protagonista in quanto, pur lasciando libertà di voto, si orientò verso la scelta della Repubblica. Un posto di rilievo lo ebbero i parlamentari cattolici all'interno dell'Assemblea Costituente impegnata nella redazione della nuova Costituzione. Infatti, la Carta repubblicana è stata il frutto di un “compromesso” – nel senso alto di “promettere insieme” – tra i grandi partiti di massa. Così, se da una parte essa esprime indubbiamente sensibilità per la giustizia sociale con intenti programmatici riformatori, dall’altra rielabora in modo nuovo i fondamentali diritti liberali e disegna un ordinamento dello Stato su base democratica. Furono proprio i rappresentanti cristiani tra cui De Gasperi, Dossetti, Moro, Zaccagnini, in quegli anni e nei successivi, a porsi come elemento di raccordo fra aspetti e orientamenti della tradizione liberal-democratica e di quella socialista, seppure rielaborati in modo originale: nell’opera svolta emerge una saldatura tra il cattolicesimo liberale e il cattolicesimo sociale, principali filoni del cattolicesimo italiano dei secoli XIX e XX. A ciò va aggiunto oltre che l'impegno, insieme ad altre forze politiche sulla carta ritenute diametralmente opposte, nella ricostruzione e nella crescita economica, sociale e culturale del Paese il ruolo svolto nei territori. Come non ricordare Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, il cui operato può esser sintetizzato in queste sue parole pronunciate in consiglio comunale: «Signori consiglieri (...) non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città dalla mia coscienza di cristiano: c'è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e del Vangelo! Se c'è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l'amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano in ispecie non c'è!»; o Pier Santi Mattarella, presidente della Regione Sicilia assassinato dalla mafia, il quale stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, con le sue politiche di radicale moralizzazione della vita pubblica siciliana. Due esempi di uomini politici che hanno fatto della politica “la forma più alta ed esigente di carità” come era solito dire Paolo VI. Guardando al passato ci si chiede da più parti quale può e potrà essere il ruolo di quei cattolici, onesti e adeguatamente formati, che desiderano porsi al servizio della res publica in un contesto non facile e problematico sotto diversi punti di vista come quello odierno? Papa Francesco con lungimiranza ha detto chiaramente che oggi non serve fondare un “partito cattolico” ma è quanto mai necessario che il cattolico si interessi della politica: il cattolico – ha detto il Papa – deve immischiarsi e lottare per una società più giusta e solidale cercando il bene comune senza lasciarsi corrompere. Questa è, allora, la strada già tracciata, è il tempo ora di iniziare a percorrerla.