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Parliamo d’amore - Agape in 1 Cor. 13, 1-13


Inno, cantico, esortazione parenetica, encomio, elogio: così sono stati definiti questi meravigliosi tredici versetti dai numerosi commentatori che su di essi hanno studiato, riflettuto, pregato. Essi sono incastonati, come perla preziosa, nel cuore della prima lettera che Paolo destina “alla Chiesa di Dio che è in Corinto”, una comunità afflitta da molti problemi e che viveva le nostre identiche contraddizioni: scoraggiamento, disimpegno, individualismo, ”ma soprattutto un complesso di superiorità che portava alla superbia e al disprezzo degli altri” (F.Manzi). L'intento principale di Paolo è quello di rammentare con fermezza e con parresìa ai cristiani di Corinto, che la vita della comunità deve essere sostenuta ed animata dall'Agape, dall'amore disinteressato per ogni fratello. Nella lingua greca i significati differenti del verbo amare sono espressi essenzialmente con quattro verbi: stergo, che esprime l'amore sponsale e quello familiare in genere; erao (totalmente assente nel N.T.), che descrive la passione e il desiderio sessuale (l'eros); fileo, che viene usato in riferimento all'amicizia fraterna; e agapao, che indica l'amore preferenziale di affezione, disinteressato, un amore diretto anche a coloro che non lo meritano. Paolo intende affermare, facendone una sorta di identikit, che l'Agape è un dono da mettere al primo posto al di sopra di tutti gli altri, un carisma che va custodito come valore assoluto e preziosissimo, di infinita grandezza, addirittura personificandola; fenomeno questo non nuovo nella Sacra Scrittura, basti pensare alla personificazione della Sapienza o della stessa Parola di Dio. Nel caso nostro Paolo dà quasi un corpo all'Agape, ne descrive la struttura attraverso quindici tratti essenziali, quindici verbi di azione, sette in positivo e otto in negativo, “perché siano meglio compresi l'ispirazione profonda e il dinamismo divino di cui tutti i carismi non possono fare a meno” (G.Biguzzi). Tutti i doni dello Spirito, se non vivificati dall'Agape, sono inutili; ogni realtà ed agire umano, se non è ispirato, guidato e sostenuto dall'Agape, è solo 'rimbombo e fracasso'. L'Agape è 'Makrothymia', un animo grande e generoso, accogliente come le 'viscere di misericordia' di una madre, capaci di avvolgere l'umanità intera, buoni e cattivi, santi e peccatori. E' quel “Tutto/Panta” ripetuto quattro volte, che proclama ai quattro punti cardinali della terra l'universalità di questo Amore. L'Agape è il volto di Dio così come si è rivelato in Gesù, è la sua identità e realtà profonda, è il suo Nome Benedetto nel quale soltanto possiamo ottenere la salvezza.

 
 
 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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