Servo inutile
La tentazione umanissima di tracciare un bilancio, di tirare una linea per fare i conti, del mio ministero presbiterale, talora mi incalza e mi inquieta: forse quest’operazione non è tanto per compiacermi o inorgoglirmi per quanto ho realizzato, ma semplicemente per riaggiustare il tiro, per tentare di ricominciare. Devo confessare, però, che più spesso mi angoscia l’inconsistenza e l’impalpabilità della traccia lasciata nelle comunità servite o la reale incidenza educativa e sociale nel tessuto delle relazioni. L’insoddisfazione, la frustrazione, lo scoramento dinnanzi ad una comunità cristiana fragile, povera, poco motivata e senza futuro perché poco aggregante e capace di dire Dio nel nostro territorio, fanno capolino o opprimono il mio cuore come un macigno. Sono consapevole che essere stato chiamato nel campo di Dio ad “arare” e a “pascolare” non è titolo d’onore o di gloria, ma servizio nello stile del Servo di Jahvé. Un balsamo, l’esortazione di Sant’ Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio» (cfr. Pedro de Ribadeneira, Vita di S. Ignazio di Loyola, Milano 1998). E più ancora, lo ricordo a me stesso per ricordarlo a tutti i genitori, gli educatori, gli operatori pastorali, “siamo servi inutili” (Lc. 17, 10). L’aggettivo “akreios”, del testo di Luca – quando posso mi sforzo di leggere almeno alcuni termini in greco -, significa una cosa «inutile» o «senza utile», cioè senza guadagno. Facciamo il nostro lavoro in famiglia, nella società, nella chiesa non per guadagno o per utile, ma per dovere e gratuitamente: semplicemente perché siamo suoi e apparteniamo a Lui. Chi «ara o pascola», non lo fa per turpe motivo di lucro (1Pt.15,2), ma lavora perché spinto dall’amore del suo Signore morto per tutti (2 Cor. 5,14). Essere servi inutili equivale dunque a «rinunciare a fare qualcosa di noi stessi» per lasciarci fare da Dio. Soltanto perché Lui ci precede, possiamo seguire. Con rinnovata fiducia camminiamo nella compagnia degli uomini della nostra città, in questo nuovo anno pastorale, rappacificati dal proverbio citato da Gesù: “Uno semina e l’altro raccoglie” (Gv. 4, 37).