Se un figlio può - “E’ assurdo cercare un pozzo, a caso, nell’immensità del deserto”
Il 10 Gennaio scorso in provincia di Ferrara, sono stati uccisi Salvatore Vincelli e la moglie Nunzia Di Gianni. Il loro omicidio è diventato rapidamente un caso nazionale, non solo per la sua efferatezza, ma anche perché le indagini hanno portato alla confessione e all’arresto del figlio della coppia, un ragazzo di 16 anni, e di un suo amico di 17, al quale sarebbe andata come “lauta” ricompensa per l’esecuzione del delitto una somma di € 1000. Se tutto ciò è apparso agghiacciante ancora di più il caso lo è diventato non appena si è appreso il motivo di tali azioni: Riccardo e Manuel – questi i nomi rispettivamente del figlio e dell’amico – vivevano di videogiochi e poca scuola e Riccardo, che abitava praticamente per i fatti suoi in una dependance della villetta di famiglia, era stufo dei continui richiami e rimproveri dei genitori per il suo scarso rendimento scolastico.
Questa è una triste storia che costringe tutti, comunità civile e cristiana, insegnati ed educatori, giovani-adolescenti e adulti, a qualcosa in più di una semplice riflessione di rito. Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, ha scritto: «(…) si è interrotto il canale di trasmissione di molti altri beni dai padri ai figli. Di valori, per esempio; di conoscenza storica, di credi religiosi, di senso comune, perfino di lingua (si diffonde un italiano sempre più maccheronico). Si è aperto un vuoto di tradizione, insomma; parola la cui etimologia viene per l’appunto dal latino tradere, trasmettere. I ragazzi vivono così in un mondo in cui le cose che contano sono diverse da quelle che contano per i genitori».
Di questa realtà, già da qualche tempo e da più parti messa in luce, bisogna prendere atto. Gli schemi mentali e sociali, il modo di relazionarsi prima con se stessi e poi con gli altri, l’approccio con il presente e, soprattutto, con il futuro e i modelli di riferimento che fino a qualche decennio fa, pur con fatica, funzionavano hanno smesso, da un pezzo, di funzionare. Il nostro mondo adolescenziale e giovanile, fatto ormai principalmente dalla generazione dei millennials ma, aggiungerei, anche alcuni strati della popolazione adulta vivono all’ombra di un’altra “verità”, di un altro “ordine sociale”di quella ortodossia che «consiste nel non pensare — nel non aver bisogno di pensare. L'Ortodossia (che) è inconsapevolezza» (George Orwell, 1984, Libro 1, Capitolo 5). Ciò che via via va stabilizzandosi un po’ dappertutto è la cultura del narcisismo in cui slogan ricorrenti sono «non farti condizionare da niente e nessuno», «puoi avere tutto, se solo lo vuoi» e in cui si pensa che per realizzare qualcosa nella vita a poco o nulla serva apprendere, soprattutto con fatica, dai libri, ma basta avere soldi, non importa poi da dove provengano, e una bella presenza incarnata possibilmente dal calciatore o dalla soubrette di turno, una società insomma in cui nessun rifiuto, nessun limite, nessun «no» detto da chicchesia trova legittimazione e, guardando ancora una volta alle giovani generazioni, il fallimento educativo che ne consegue è una esplicitazione o, meglio, una causa della crisi di identità individuale e collettiva del nostro tempo. Il prendere coscienza di tutto questo aiuta, ma se si vuole invertire la rotta bisogna affrettarsi a fare qualcosa. Ma a chi tocca fare? Alla famiglia? Non basta. Alla scuola? Non basta. Alle istituzioni? Non basta. Alla parrocchia? Non basta. Al calcio, basket, volley? Non basta. Alla TV o ai social? Non basta. Nessuna di queste realtà da sola e slegata da tutte le altre può far qualcosa: è necessario che tutte insieme, rinnovando l’alleanza educativa, si mettano in azione in quella che sicuramente rappresenta la sfida più ardua di oggi ma anche la più bella, come bella è la distesa del deserto – immagine che molto bene descrive la nostra società e ancor di più la realtà giovanile – perchè comunque «Cio' che abbellisce il deserto é che nasconde un pozzo in qualche luogo... ».