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I Capp. 24 e 25 del Vangelo di Matteo Discorsi sulle cose ultime

I capitoli 24 e 25 costituiscono l'ultimo grande Discorso del Vangelo di Matteo, quello chiamato "Escatologico", che parla delle cose ultime, del senso ultimo della storia, delsuo fine più che della sua fine. Potremmo collocare questi due capitoli all'interno della sezione biblica della Profezia, della ricerca cioè del progetto di Dio attraverso gli eventi spesso tragici della storia dell'uomo. L'autore sacro li inserisce appena prima della passione, morte e resurrezione di Gesù, perché questi sconvolgimenti sociali e religiosi gli permettono di fornire ai suoi lettori una chiave interpretativa di quegli eventi drammatici che le comunità di Matteo stanno attraversando. Tutto deve essere letto e inteso come una partecipazione alla passione e alla morte di Gesù. Lo stile "Apocalittico" che caratterizza i due capitoli, ha sempre solleticato, e ancora solletica, la fantasia degli amanti del catastrofismo e dei facili profeti di sventura, i quali - a quanto pare - abbondavano anche nel primo secolo dopo Cristo.

E' indubbio che prima o dopo la fine del mondo verrà, ma è lontano dalla mente degli agiografi fare predizioni sul futuro.

L'evangelista non è una Cassandra o un annunciatore di sventure, ma il responsabile delle sue comunità, molto preoccupato dalla situazione storica, sociale e religiosa in cui esse si trovano. Egli vuole fornire loro una corretta chiave di lettura delle loro paure, ponendo fine a speculazioni da parte di agitatori ed esaltati che definisce senza mezzi termini: falsi profeti (24,11) e ingannatori (24,4-5) da cui bisogna attentamente guardarsi. Riprende gli eventi che terrorizzano i fedeli rileggendoli in chiave escatologica, utilizzando il linguaggio proprio dell'apocalittica giudaica e riadattandola alle logiche cristiane. Lo sfondo in cui si muove l'intero discorso è squisitamente parenetico, disseminato com'è, qua e là, da numerose esortazioni e indicazioni. Il tema principale, obiettivo primario di questo ultimo grande discorso, è quello della vigilanza e dell'operosità nel bene.

La vita va vissuta in pienezza, e solo chi è capace di donarla con amore e per amore la ritrova proprio alla fine, raggiungendo il suo fine: la comunione e l'incontro con Gesù. L'evangelista ci rimanda costantemente alla vita quotidiana, che è da leggere come segno della presenza del Dio-con-noi. Il male non è la fine, né tanto meno il fine del mondo. E' invece il luogo dove siamo chiamati a testimoniare l'amore del Signore Gesù a tutti i fratelli. “Chi, nella Chiesa, è in ansia per il futuro, è rimandato a vivere il presente con vigilanza e responsabilità.

E' chiamato, inoltre, a testimoniare l'amore del Padre verso i fratelli hic et nunc, vivendo alla sequela del Signore e conducendo insieme a Lui il mondo al suo compimento”. (cit.)

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