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Cala il sipario sulla vita di Riina

Il capo della mafia siciliana è deceduto il 17 c.m. nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma. I familiari non hanno fatto in tempo a vederlo vivo, nonostante il permesso del ministro. La figlia su Fb: "Silenzio". Gli ultimi misteri del padrino di Corleone nelle sue intercettazioni in carcere.

Fino all’ultimo definito il Capo dei Capi.

La società civile si divide tra quelli che hanno pensato e detto che lasciar morire un vecchio senza gli affetti della sua famiglia non era un gesto di civiltà, così come ci si divide funerali si o no. Entrare in merito a tale questione è un campo minato, dove è il caso non addentrarsi.

Le minacce di Totò Riina dal carcere sono molto significative. Non sono infatti rivolte solo a Luigi Ciotti, ma anche a magistrati, a uomini e donne si sono impegnate per la giustizia e la dignità del nostro Paese. Cittadini a tempo pieno, non a intermittenza.

Questo nostro tempo è fragile, con facilità ci lasciamo derubare i sogni. Dobbiamo riprenderci questo tempo.

Le mafie sanno fiutare il pericolo. Sentono che l’insidia, oltre che dalle forze di polizia e da gran parte della magistratura, viene dalla ribellione delle coscienze, dalle comunità che rialzano la testa e non accettano più il fatalismo, la sottomissione, il silenzio.

Queste minacce sono la prova che questo impegno è incisivo, graffiante, gli toglie la terra da sotto i piedi. Dobbiamo essere al fianco dei famigliari delle vittime, di chi attende giustizia e verità, ma anche di chi, caduto nelle reti criminali, vuole voltare pagina, collaborare con la giustizia, scegliere la via dell’onestà e della dignità. La mafia non è solo un fatto criminale, ma l’effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune. Ci sono provvedimenti urgenti da intraprendere e approvare senza troppe mediazioni e compromessi. Ad esempio sulla confisca dei beni, che è un doppio affronto per la mafia, come anche le parole di Riina confermano. Quei beni restituiti a uso sociale segnano un meno nei bilanci delle mafie e un più in quelli della cultura, del lavoro, della dignità che non si piega alle prepotenze e alle scorciatoie.

Lo stesso vale per la corruzione, che è l’incubatrice delle mafie. C’è una mentalità che dobbiamo sradicare, quella della mafiosità, dei patti sottobanco, dall’intrallazzo in guanti bianchi, dalla disonestà condita da buone maniere. Corrotti e corruttori si danno man forte per minimizzare o perfino negare il reato. Ai loro occhi è un’azione senza colpevoli e dunque senza vittime, invece la vittima c’è, eccome: è la società, siamo tutti noi.

L’impegno contro le mafie è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie, delle violenze, al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi. La Chiesa di don Pino che “interferisce”, che educa le coscienza alla giustizia, alla pace, alla solidarietà, al rispetto questa è la mia Chiesa, spirituale e alla sua intransigenza etica.

Una Chiesa che accoglie, che tiene la porta aperta a tutti, anche a chi, criminale mafioso, è mosso da un sincero, profondo desiderio di cambiamento, di conversione.

Una Chiesa che cerca di saldare il cielo alla terra, perché, come ha scritto il Papa Francesco: «Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo». Cala il sipario, sul personaggio Riina, dei poteri forti che l’hanno reso il Capo, poiché senza la connivenza della massoneria, della corruzione istituzionale, dei giochi della politica, degli interessi dei servizi segreti, questa sarebbe stata semplicemente la storia del piccolo ridicolo mafiosetto che si atteggia nel quartiere, sguazzando tra l’ignoranza. Invece no, serviva un capo e l’hanno fatto. I giovani che a Corleone così come in qualsiasi contesto non si rivedono in questo sono la nostra unica speranza.


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