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Con Marco il Vangelo dei Catecumeni


La scoperta dell'importanza del Vangelo di Marco, rimasto in ombra per tanti secoli, anche a causa dei poco lusinghieri giudizi di alcuni Padri della Chiesa, come S. Agostino che lo definì un “pedissequo sunteggiatore di Matteo” (De Cons. Evang.), è di data recente e dobbiamo ringraziare alcuni teologi protestanti se è stato rivalutato. I loro studi hanno dimostrato come non fosse vero che “era stato scritto senza ordine, senza curarsi di offrire una struttura ordinata dei discorsi del Signore” (Papia) ma che anzi, il Vangelo di Marco, che è il più arcaico, è una delle due fonti che stanno alla base della tradizione sinottica. E' certo infatti che sia Matteo che Luca attinsero ad essa utilizzandola per la stesura delle loro opere. Possiamo altresì considerare l'opera di Marco il Vangelo dei Catecumeni, perché è una guida, semplice e profonda allo stesso tempo, verso l'incontro personale con il Signore Gesù. Già dal primo versetto, che è un autentico titolo, l'autore ci fornisce un indizio di struttura per tutta l'opera. Marco non vuole semplicemente dirci che queste sono le prime parole della sua, bensì che esse costituiscono la sintesi del messaggio di Gesù, di cui i capitoli che seguono saranno uno sviluppo. Egli ci prospetta un itinerario per metterci alla sua sequela, cioè il Vangelo come principio e fondamento della nostra fede. La narrazione si snoda attraverso un cammino che conduce dalla Galilea a Gerusalemme, seguendo il fil rouge del “segreto messianico”che rivela progressivamente il mistero dell'uomo-Gesù, “il Messia atteso e l'inatteso Figlio di Dio”. Il Gesù di Marco, come già abbiamo detto, appare sempre in cammino, in uscita (éxodos), alla continua ricerca dell'uomo, di tutti gli uomini, per amarli e condurli a salvezza. L'evangelista introduce gradualmente il suo lettore a contemplare e ad accogliere in Gesù il Messia, il Figlio di Dio, del quale ci si chiede continuamente: “Chi è costui ? “. Comprensione che sarà totale solo alla fine del Vangelo nell'esclamazione di un pagano, il centurione romano: “Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!” (15,39). L'attenzione dell'evangelista, del tutto alieno da preoccupazioni dottrinali, è centrata solo sulla persona di Gesù ed ogni situazione ( parabole, discorsi, detti, controversie, guarigioni, segni...) parlano sempre e solo di lui. La teologia del Vangelo di Marco non tratta di una dottrina, tanto meno di una ideologia, ma di una persona concreta: Gesù, Messia, Figlio di Dio, crocifisso e risorto, indicato come nuovo criterio di prassi. Il Dio che man mano si rivela è Colui che nessun uomo avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente immaginare e cioè l'uomo-Gesù, rifiutato e crocefisso dal potere religioso e politico. Sotto la croce infatti cessa totalmente ogni segreto proprio nell'esclamazione del centurione, che è poi la risposta di fede che il cristiano è chiamato a fare propria, e a riconoscere nella Galilea delle genti, cioè nella vita di tutti i giorni, la presenza del Risorto che, come ha detto, lo precede (16,7).


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