La vita cristiana come esistenza pasquale
Il cristiano pone al centro del proprio vivere la fede nella risurrezione di Gesù di Nazareth, il suo Signore e Maestro. La vittoria sulla morte è quella luce che illumina ogni dolore umano e dà senso e speranza all’esistenza. Il cuore del vangelo, il Kerigma, trasmesso dai primi testimoni è proprio questo messaggio: Il Crocifisso, Colui che è stato innalzato sul patibolo, è risorto, primo tra coloro che sono morti (cfr 1Cor 15,3-20; At 2,22-24). La Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo, custodisce l’annuncio del Cristo vivo, lo fa risuonare continuamente trasmettendolo in vari modi ad ogni generazione, nella Liturgia lo rende presente ed operante, con la propria vita di comunione e di servizio lo testimonia nel mondo.
Il Regno di Dio annunciato e promesso si è manifestato pienamente nell’immolazione di Gesù, il vero Agnello pasquale, che acquistò per Dio col suo sangue uomini di ogni popolo e lingua (cfrAp 5,9). Ognuno di noi nella vita sperimenta il deserto, la fatica, l’infedeltà: il Signore non si stanca di introdurci nel suo Riposo, nella Terra promessa che è il suo cuore. Con la sua incarnazione, la sua vita, la sua passione e la sua glorificazione Egli ci ha condotti verso l’Esodo definitivo.
Il tempo di Quaresima che sta per concludersi ci traghetta velocemente verso la Settimana Santa, con i suoi riti e le sue tradizioni. Il grande rischio che possiamo correre è quello di vivere con superficiale emotività o ancora peggio, quasi asetticamente, con distacco emotivo un evento che invece deve esser vissuto come memoriale, come un fatto che ha un’importanza vitale qui ed ora, nella storia personale e comunitaria ma anche nella storia universale, cosmica.
Il cristiano rinnegherebbe il suo stesso essere ed esistere se non vivesse la Pasqua commememoriale della passione, morte e risurrezione di Gesù. Nel contemplarlo sfigurato ed esaltato sulla croce, che vince nella sua carne il nostro peccato ed attira a sé ogni uomo ed ogni donna, riconosciamo che Egli ci ha riscattati liberandoci e ha donato a ciascuno la possibilità di una nuova vita: “… se uno è in Cristo è creatura nuova…” (2Cor 5,17). Questa novità di vita consiste nell’assumere lo stile del Maestro, seguire le sue orme, imparare a servire, perdonare, decentrarsi, uscire da sé ed aprirsi agli altri, farsi dono per dare pienezza di senso alla propria esistenza. Il cristiano vive nel mondo ma lotta per non lasciarsi asservire dalle sue logiche egoistiche, effimere e provvisorie; egli riconosce che il prezzo pagato per il suo riscatto è stato molto alto. La vittoria di Cristo sul male e sulla morte è una realtà definitiva malgrado il permanere del peccato, della sofferenza e della morte sulla faccia della terra finché dura il tempo presente: “Secondo la sua promessa, aspettiamo cieli nuovi e una terra nuova, nei quali soggiorni la giustizia” (2Pt 3,13).
È nei Sacramenti, in ogni Sacramento, che a noi cristiani viene comunicata la potenza redentrice della Pasqua di Cristo. Essi sono gesti del Signore Crocifisso e Risorto che nella Comunità attraverso l’effusione del suo Spirito ne realizzano la presenza. È Gesù stesso dopo la sua risurrezione che appare ai discepoli e li invia a battezzare, a donare il suo Spirito, a ungere per sanare, a scacciare il maligno e a perdonare, promettendo la sua costante presenza, fino alla fine del mondo.
Il tempo pasquale è quello più indicato per ricevere i Sacramenti dell’Iniziazione cristiana che ci introducono gradualmente nel mistero di Cristo e della Chiesa. Ed ecco che dopo aver ascoltato ed accolto la Parola che salva, attraverso il battesimo siamo immersi nel destino di morte e risurrezione del Cristo e partecipiamo realmente alla sua vita divina che si manifesterà gloriosamente nella Parusìa (cfr Col 3,1-3). Riceviamo l’unzione dello Spirito Santo e veniamo nutriti e sostenuti dall’Eucaristia,in cui Gesù si fa cibo e bevanda per sfamare il bisogno di Dio che c’è in ogni uomo. E così di domenica in domenica nella Messa, pasqua settimanale, facciamo memoria nel segno del pane e del vino, sull’altare, di quel sacrificio che Gesù offrì sul Golgota, con l’effusione del sangue, quando era imperatore di Roma Tiberio e Ponzio Pilato il procuratore“..tutte le volte che voi mangiate questo pane e bevete a questo calice, annunziate la morte del Signore, finché Egli venga” (1Cor 11,26).