Morire per rinascere
Presto o tardi tutti noi dobbiamo fare i conti con la presenza ingombrante ed inaccettabile della sofferenza. E’ un attimo e i nostri progetti saltano, ogni nostra previsione viene delusa e si scontra con una realtà sentita come ingiusta ed insopportabile. Come accettare una malattia, la scomparsa di un amico o di una persona cara, l’abbandono di chi ci ama? La paura di rimanere soli e di non farcela prende il sopravvento, le forze vengono meno, il ritorno alla “normalità” sembra impossibile...
È questo il tema del libro “Nessuno può volare” di S. Agnello Hornby, dove è raccontato un cammino di sofferenza, quella di una madre e di un figlio che insieme affrontano una malattia che non dà scampo: la SLA. Da una parte, George, che a trent’anni e con fulgide prospettive di vita, professionale e familiare, si trova a dover accettare ed affrontare questo mostro: le prime avvisaglie , gli esami, la diagnosi che non lascia speranze, il decadimento fisico, le difficoltà materiali, la necessità di abbandonare il lavoro, la separazione dalla moglie. Dall’altra parte, una madre che vive l’angoscia per la malattia del figlio e per la propria, prima, e la volontà di non farsi sopraffare, poi (“la malattia non aveva spezzato le nostre vite… era come una diga che ci costringeva a deviare bruscamente dal percorso, un tempo scorrevole e comodo. La speranza e la voglia di vivere non ci avevano abbandonato”). Il libro è testimonianza di un percorso di accettazione della diversità in generale ed oggi, in un mondo che tende all’omologazione, è un tema che scuote le coscienze. Chi non corrisponde a criteri comunemente condivisi di “normalità” non vive, forse, una condizione di sofferenza e di emarginazione che si aggiungono alle difficoltà oggettive che la sua condizione gli impone? E’ condannato ad una doppia sofferenza, insomma, ed una dipende dagli uomini e non da una divina indifferenza né da un fato cieco e punitivo.
Se, da un lato, c’è chi deve portare la sua croce, dall’altro ci dovrebbe essere un Cireneo che lo aiutasse a sorreggerne il peso; se, per un verso, la malattia e la morte distruggono, è vero anche che costruiscono uomini nuovi che dalla sofferenza rinascono. Molto c’è da imparare dalla propria perché si è costretti ad ammettere la propria fragilità e, quindi, a chiedere aiuto, a liberarsi di quell’orgoglio che ci impone di apparire forti ed infallibili. Allo stesso modo, impariamo dal dolore altrui a farci compagni discreti ed attenti lungo la via dolorosa, pronti a cogliere ogni richiesta di aiuto: è un percorso di maturazione che passa anche attraverso la rassegnazione o l’abbandono nella fede, per chi ce l’ha. Diversamente, è la fine.
La storia raccontata nel libro è quella di chiunque non si dia per vinto: non per la presunzione di poter annullare le difficoltà che la malattia o la morte comportano, ma per la convinzione che “i diversi fanno parte della nostra normalità” e per la certezza di vedere nei nostri compagni di viaggio sofferenti il volto di Cristo, nelle loro ferite le Sue piaghe, nel loro dolore il suo , nella loro morte la Sua.
Se, però, questa fosse veramente l’ultima tappa del nostro viaggio, che senso avrebbe la vita? Che senso il dolore? Ci confortano le parole scritte dall’evangelista Giovanni:“…se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto…”.
Buona Pasqua di Resurrezione a tutti!