Quale salvezza per l’uomo di oggi?
“…Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da Te davanti a tutti i popoli”. (Lc. 2, 29-31)
Con questa preghiera (divenuta uno dei cantici della Chiesa cattolica) il vecchio Simeone si avvia gioioso alla morte perché ha la consapevolezza di aver visto in Gesù, il Messia tanto atteso, la Salvezza donata da Dio a tutti gli uomini. La gioia di Simeone è la stessa che inonda ancora oggi il cuore dell’uomo nell’istante in cui gli è dato di incontrare il Signore, di aprire gli occhi alla Luce che mette in fuga le tenebre e di ritrovare il senso del vivere in se stesso, nella dignità di sentirsi figlio di Dio. Per il cristiano la salvezza ruota intorno alla figura di Gesù Cristo che “è il Salvatore del mondo” (Gv 4,42), e al suo evangelo “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rom. 1,16); il credente sa o, almeno, dovrebbe sapere che la salvezza non guarda solo all’aldilà, alla vita eterna, ma anche a questa vita, a quella che nella quotidianità si tinge dei colori della gioia e della sofferenza fisica e spirituale. L’uomo di oggi ha perso il senso della fede che, a volte, pare sopravvivere in forme vicine alla superstizione, in cui il credere e la pratica religiosa non sono scelte consapevoli, ma segni di un retaggio familiare e sociale che servono a dare una parvenza di legittimità al proprio vivere; molti, poi, si allontanano dalla pratica religiosa perché rischierebbero di essere esclusi dagli ambienti che frequentano, in cui l’essere coerenti con la parola di Dio appare come un segno di debolezza, di arretratezza culturale e sociale, di ingenuità; altri si dichiarano atei, affermando una personale forza interiore che, confidando nelle sole capacità umane, li porta a disporsi in maniera disincantata nei confronti della realtà. Gli uomini e le donne del nostro tempo, inoltre, giovani o adulti che siano, appartenenti o meno alla categoria dei credenti e praticanti, devono nella quotidianità porsi in relazione con le sollecitazioni di un mondo che cambia velocemente, a causa dell’inarrestabile progresso tecnologico; si può affermare che, in questa folle corsa, abbiano smarrito il senso della misura, tesi a soddisfare ogni pur minimo bisogno materiale, chiusi nel proprio individualismo, vittime inconsapevoli di una miopia che sfocia nell’egoismo e di una sordità che inaridisce il cuore. Sembrano votati all’autodistruzione.
Il ravvedimento sopraggiunge nel momento in cui bisogna fare i conti con l’esperienza della malattia, della morte, dell’insuccesso; allora si aprono due strade, quella infausta della disperazione e quella della speranza, che sollecita la parte più recondita del nostro essere. Per accogliere la Salvezza bisogna, infatti, avere un “cuore contrito e spezzato” (Sal. 51,19), capace di riconoscere le proprie debolezze e di sentire il bisogno del perdono; un cuore umile, pervaso dal desiderio di conoscere Gesù, dalla speranza che l’incontro con Lui possa cambiare la vita. Come Zaccheo (Lc. 19,5) che precede Gesù e si arrampica sull’albero, superando i limiti fisici che lo contraddistinguono, solo per vederlo. Ma il Signore opera un ribaltamento, è Lui a prendere l’iniziativa, alza lo sguardo e lo chiama per nome. Quest’incontro è emblematico di ciò che avviene nel peccatore che si ravvede: non è l’uomo a decidere, è Gesù che lo ama per primo e che gli fa sentire di essere sempre stato al suo fianco in attesa. “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo rimanere a casa tua”: Gesù chiede anche a noi di essere nostro ospite, di prendere dimora nella nostra casa, di avere un posto nella nostra intimità. Si fa strada dentro di noi senza giudicarci e, donandoci il perdono, ci guida alla conversione, ad un cambiamento radicale della nostra vita, nella libertà e nella dignità dei figli di Dio. Tocca a noi fare il primo passo e liberarci dalle pastoie che ci impediscono di correre incontro alla Salvezza.