La missione continua La tavola è imbandita, (…) , ma tanti credono di non essere invitati alla gran
I Padri missionari e le Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue da circa un mese hanno lasciato fisicamente il territorio della nostra comunità parrocchiale sul quale dal 6 al 27 Maggio hanno camminato, bussando alle porte delle famiglie che in esso vivono, lavorano, soffrono, gioiscono. Dico fisicamente perché immagino che spiritualmente essi han portato con sé, in un piccolo spazio vitale del loro cuore, i volti delle persone che hanno incontrato, con cui hanno condiviso un tratto di cammino. In quei tratti somatici unici ed irripetibili, in quelle storie spesso segnate dal dolore si è manifestato ad essi il Signore Gesù, quello stesso Signore che tramite il loro dito premuto sul campanello delle case, ha bussato alle porte cercando accoglienza nelle vite dei cristiani cattolici pozzogottesi. Un’occasione propizia per loro e per tutti noi. Preti, suore e laici camminatori, che avanti e indietro hanno percorso il suolo benedetto di questa piccola fetta di chiesa locale, salendo scale, attraversando strade, cortili, aule e piazze; pregando, riconciliando, benedicendo, portando ovunque la Parola di sempre: la bella notizia del Regno che silenziosamente è già in mezzo a noi come seme che vuole essere accolto per attecchire e portare frutto. I padri Francesco, Mario, Ernesto, Giampiero, Daniele e Terenzio, il petto “armato” di grandi e pesanti croci, con le loro talari svolazzanti, insieme alle infaticabili suore Nunzia, Teresa e Annamaria e ai quattro dinamici e generosi giovani Leonardo, Davide, Danilo e Ivan ci hanno mostrato che per essere veri e credibili discepoli bisogna riconoscere Gesù il Cristo senza vergognarsi di Lui (cf Mt 10,32-33; Lc 9,26) annunciando la Parola in tempo opportuno ed inopportuno (cfr 2Tm 4,1-5) pena l’essere disconosciuti da Lui al suo ritorno glorioso nella parusìa.Nell’ultima Celebrazione Eucaristica, poco prima di lasciare la nostra comunità, chiamando simbolicamente per nome il parroco, il diacono e alcuni operatori pastorali, hanno affidato il compito missionario a tutti noi che in questa parrocchia, senza meriti personali siamo stati chiamati a servire. Una bella responsabilità! In teoria tutti noi sappiamo dai documenti del Magistero che la chiesa è per sua natura missionaria, che deve spingersi fuori dagli spazi sacri ed andare dove la gente vive, prendere il largo pur tra i flutti che rischiano di sommergerla, senza paure perché su questa barca che è la chiesa c’è Cristo anche se a volte sembra dormire (cf Mc 4,35-41). Chi oggi opera nella pastorale ecclesiale si rende conto di quanto sia difficile e spesso velleitario attuare questa missionarietà. Tuttavia, se non vogliamo rinnegare il nostro battesimo e rinunciare alla nostra identità cristiana è pur vero che occorre testimoniare Gesù senza timore né vergogna, senza lasciarsi scoraggiare dalle porte che rimangono chiuse, astenendosi da sterili e affrettati giudizi, perché il Signore passa in molti modi nella vita della gente e rispetta i tempi di tutti. Compito del cristiano non è giudicare ma aiutare il Maestro nella sua (non certo nostra) missione salvifica.
Confesso che non so immaginare, in questo momento, cosa la comunità di Santa Maria Assunta continuerà a fare nel prossimo futuro. Anch’io a volte, guardando alle energie profuse dai tanti che operano nella pastorale, giovani e meno giovani, della prima o dell’ultima ora, sento emergere in me la tentazione diabolica del pessimismo e dello scoraggiamento. Ecco perché mi sono convinta che bisogna ripartire dalla preghiera. Il nostro primo obiettivo non dev’essere il fare tante cose, come se fossimo operai programmati dalle cui forze tutto dipende, ma l’essere persone che si curvano docilmente sotto l’azione dello Spirito Santo, riconoscendo il primato di Dio per diventare strumenti del suo Amore. E’ nella preghiera che possiamo chiedere a Dio di farsi nostro compagno in questa sfida, di farci ardere il cuore di amore per Lui, di donarci la forza di annunciare il Vangelo con gioia, con idee, modalità e linguaggi nuovi, per accostarci alle tante persone che se ne stanno ai margini e che forse attendono un nostro passo verso di loro.
E’ vero che le chiese si svuotano un po’ dappertutto, ma questo non può diventare il nostro alibi per rimanere inerti a guardare. La tavola è imbandita, il banchetto sponsale è pronto ma tanti credono di non essere invitati alla grande festa, o credono di aver di meglio da fare (cf Mt 22,1ss). Che in qualche modo non sia nostra la colpa? E dove si nasconde l’errore? Forse crediamo di essere gli unici commensali? O forse, ancora oggi molti non sanno che a quella mensa c’è spazio per tutti!
Occorre farglielo sapere. Bisogna spezzare la Parola e il Pane meglio di come abbiamo fatto finora. C’è dunque in noi operatori pastorali di questa comunità che da Dio è stata tante volte visitata, il riconoscente desiderio di donare ciò che si è ricevuto, impegnandosi a proseguire sulla strada che i missionari hanno battuto, guardando con più attenzione al territorio, progettando come già in passato in alcuni periodi dell’anno liturgico abbiamo fatto, incontri fuori dalla chiesa, nelle case, con particolare vicinanza a chi soffre, si sente solo ed è smarrito, con momenti di preghiera e di ascolto della Parola di Dio, di catechesi o semplicemente di visita alle famiglie per conoscersi meglio e diventare più prossimi, crescere insieme nella fede e nella comunione. C’è una grande messe che ci attende e gli operai siamo ben pochi. Noi continuiamo la missione confidando in un Dio che fa grandi cose con umili arnesi.