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Segni di contraddizione “Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele, come segno

Il bambino Gesù, che il vecchio Simeone tiene tra le braccia, è Dio che entra nella storia, è il Messia venuto a salvare gli uomini. La Sua potrebbe sembrare una salvezza gratuita, un dono come i tanti che oggi, nella tranquillità del nostro benessere materiale, accettiamo senza comprenderne il valore; la Sua salvezza, invece, è un dono che riempie di significato la nostra vita, perché giunge attraverso la nostra cooperazione al disegno di Dio, attraverso la nostra disponibilità ad accoglierLo, a trovare, di fronte alle difficoltà della vita, il coraggio per rispondere alla domanda “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16, 15). Cristo diventa segno di contraddizione; non possiamo, infatti, dichiararci cristiani e non vivere la sua Parola. Siamo sempre ad un bivio: riconoscerLo, accettando rinunce e aprendoci all’amore e all’accoglienza dell’altro, o rinnegarLo.

Amare, rinunciare, accogliere: queste le dimensioni del nostro essere cristiani, dell’essere profeti e testimoni. Il cristiano è chiamato da Dio ad essere profeta, a denunciare le ingiustizie, le sopraffazioni, la negazione della libertà dell’individuo e dell’importanza della cooperazione sociale da parte dei potenti di turno; è chiamato ad essere testimone, a credere nella potenza della Parola di Dio che rigenera, che rende capaci di vedere il male, di guardare il prossimo con gli stessi occhi misericordiosi del Padre, vivendo con coraggio la Vangelo fino in fondo, fino al dono della propria vita. Come hanno fatto, come fanno, alcuni uomini e alcune donne del nostro tempo, noti o sconosciuti ai più.

Padre Pino Puglisi, don 3P, come lo chiamavano affettuosamente i ragazzi della sua parrocchia nel quartiere palermitano del Brancaccio, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, nel giorno del suo compleanno: col coraggio che viene dalla fede nella Parola, si adoperò per sottrarre manovalanza alla “famiglia” che controllava quel territorio, attraverso

l’evangelizzazione e la Pastorale antimafia del Padre Nostro, come lui la chiamava, rivolta soprattutto ai bambini. Diceva, infatti, che “il Padre Nostro è un itinerario di catechesi per un cammino di conversione che comincia da noi; buon per noi se andiamo in crisi quando, recitandolo, ci rendiamo conto che non stiamo facendo solo delle domande ma anche delle professioni di fede, delle dichiarazioni di impegno, e –se lo prendiamo sul serio- corriamo il rischio di diventare presenze scomode, segni di contraddizione”. Don Pino fu segno di contraddizione fino in fondo. Con un sorriso, il sorriso della misericordia, si rivolse al suo killer con queste parole: “Me l’aspettavo”. Lo stesso sorriso che indusse, poi, il suo assassino pluriomicida, Salvatore Grigoli, a convertirsi e a diventare collaboratore di giustizia.

Padre Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador, ucciso il 24 marzo 1980, mentre celebrava la Messa, nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza: cadendo, trascinò con sé il corporale e sparse a terra le ostie, alcune delle quali si macchiarono del suo sangue. Egli pagò con la morte il suo impegno in difesa dei poveri salvadoregni, dei campesinos, denunciando nelle sue omelie le ingiustizie, le torture, gli omicidi da loro subiti a causa della dittatura, instaurata nel paese da vari colpi di stato ad opera delle forze militari governative. Alla riapertura della chiesa di Aguilares, occupata dai militari dopo la strage di più di 200 fedeli, l’arcivescovo Romero, profondamente addolorato, affermò: “Ci troviamo qui oggi per riprendere possesso di questa chiesa parrocchiale e per ridare forza a tutti coloro che i nemici della Chiesa hanno calpestato. Voglio che sappiate che voi non avete sofferto da soli, perché la Chiesa siete voi. Siete voi il popolo di Dio; Gesù, oggi su questa terra.” Chiese profanate, ostie calpestate dagli scarponi dei militari, fedeli uccisi solo perché trovati in possesso della foto del gesuita Rutililio Grande, difensore e promotore dei centri di auto-aiuto dei campesinos e amico di Romero, ucciso anche lui dagli squadroni della morte nel marzo del 1977: in quegli anni i sacerdoti trucidati dai militari furono 40. Romero continuò la sua opera di denuncia attraverso le omelie. In quella pronunciata il giorno prima della sua morte aveva dichiarato: “Desidero fare un appello agli uomini dell'esercito e in concreto alla guardia nazionale della polizia delle caserme: fratelli, siete dello stesso popolo, ammazzate i vostri fratelli campesinos. Davanti all'ordine di ammazzare dato da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice 'non ammazzare'. Nessun soldato è tenuto ad obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio!».” Con queste parole egli firmò la sua condanna a morte.

Il 25 maggio 2013 don Pino Puglisi è stato beatificato da papa Francesco al Foro Italico “Umberto I” di Palermo.

Il 14 ottobre 2018 Romero sarà canonizzato da papa Francesco in Piazza San Pietro, nel corso del Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani. Sarà santo di quella Chiesa che non rispose alla sue richieste di aiuto, credendolo troppo vicino al movimento, di ispirazione marxista, “Teologia della liberazione”.

Padre Puglisi e padre Romero, con la loro vita, ci insegnano che non si diventa, ma si è santi, ovvero profeti e testimoni, non secondo la logica degli uomini, ma secondo il disegno imperscrutabile di Dio.

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