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Ubi Eclesia

S. Ambrogio nel commento al salmo 40 (41) scriveva: “Ubi Petrus, ibi ecclesia- Dov’è Pietro, lì è la Chiesa”, a sottolineare l’intima unità tra la Chiesa ed il Papa. Oggi sarebbe il caso di chiedersi: dove va la Chiesa? Come può contribuire a migliorare la società? E ancora: in che modo la chiesa e i cristiani possono ricoprire un ruolo significativo nel mondo e nella Storia? Il quadro storico-politico internazionale e nazionale dei nostri giorni ci spinge a riflettere su come dobbiamo porci di fronte alle emergenze del nostro tempo, sulla necessità di assumere una posizione riconoscibile, senza sbavature, a costo di rimanere fuori dal coro. Stare alla finestra a guardare, certamente no!

Non si tratta di una questione che possa essere demandata alla sola coscienza del singolo, ma che dovrebbe coinvolgere anche l’istituzione ecclesiastica per capire quale ruolo debba e possa assumere nelle questioni urgenti del presente; se abbia ancora senso oggi chiudersi in un’astratta spiritualità–ritualità (spesso ostentata) o se debba indossare il “grembiule” del servizio e “sporcarsi le mani”.

Nel vangelo di Matteo (18, 20) leggiamo: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro”. Gesù è stato nel mondo ed ha vissuto come e con gli uomini del suo tempo; così i cristiani, guardando a Lui e vivificati dal banchetto eucaristico e dalla preghiera, devono essere operatori di pace e giustizia nel mondo. Il cristiano, dunque, deve sentirsi chiamato personalmente a contribuire al benessere e al progresso della società in cui vive, riappropriarsi del suo naturale ruolo di protagonista della storia, promuovere un modello sociale e politico incentrato sull’uomo.

Il sistema educativo in questa prospettiva deve essere oggetto di grande cura ed attenzione per contribuire alla formazione di cittadini consapevoli che operino delle scelte coerenti con i principi della propria fede ed evitare lo scollamento tra la dimensione religiosa e quella politica.

Don Lorenzo Milani ha offerto un modello pedagogico innovativo rispetto a quello tradizionale, sia nei contenuti che nella modalità. Nelle sue giovanili “Esperienze pastorali” per spiegare il concetto di scuola popolare per i lavoratori scriveva che “bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati… Bisogna ardere dall’ansia di elevare il povero a un livello superiore… più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”. Insomma, guardare all’altro con gli occhi del cristiano che scorge il volto di Gesù in chi è più debole e lo accoglie per dargli dignità, non per sfruttarne la debolezza. Don Lorenzo riteneva che ciò non fosse possibile mediante bigliardini e campetti da calcio, come molti sacerdoti del tempo facevano per attirare nelle chiese nuovi fedeli, ma proponendo il messaggio evangelico in modo diretto; educando il cuore, con la preghiera e i sacramenti, e l’intelligenza, con l’esercizio della parola e del pensiero. Il maestro deve puntare all’autonomia di pensiero dell’allievo e non alla trasmissione di contenuti predefiniti e non sempre significativi. Il fine di questa “pedagogia” é la formazione del cittadino attivo e consapevole che assuma una posizione critica nei confronti della società e contribuisca a migliorarla, calando l’ideale evangelico nell’hic et nunc e delineando nuove prospettive e soluzioni politiche, economiche e sociali, che tutelino e valorizzino la dignità dell’uomo. Nella complessità del mondo globale sarebbe il caso, forse, di rivedere questo modello educativo.

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