Compagni di scuola… Compagni di vita
Primo giorno di scuola: il suono della campanella, il vocìo nei corridoi, i sorrisi, i volti abbronzati, gli abbracci di chi si ritrova dopo le vacanze per cominciare una nuova avventura, le lacrime dei piccoli alla loro prima esperienza tra i banchi. Anche per un docente (per me, almeno, è così) il primo giorno di scuola può essere fonte di ansia e preoccupazione; non bastano anni di esperienza in cattedra per non fargli provare l’ansia da primo giorno. Il timore più grande quando inizio un nuovo anno scolastico è di non essere all’altezza, di non essere capace di catturare l’attenzione dei ragazzi che incontrerò, di non sapere comprendere e parlare il loro linguaggio, di non entrare in empatia con loro; la vera sfida non è spiegare Catullo o Dante, la grammatica o l’impero persiano, ma conoscere uno per uno quei ragazzi che mi ritrovo dall’altra parte della cattedra e che mi scrutano, in attesa, curiosi di vedere di cosa sarò capace. Quando entro in classe il primo giorno mi guardo intorno e cerco di comprendere dalle parole, dai gesti e dallo sguardo qualcosa su ciascuno. Gli chiedo di presentarsi, li faccio parlare di loro, di ciò che sognano, dei loro progetti e parlo anche di me, chiedo loro di farmi domande su ciò che più li incuriosisce: in quel momento il ghiaccio è rotto e rimango ad ascoltarli, attenta, cercando di catturare emozioni.
Tengo sempre a mente le parole di Seneca, “docendo discitur”: anch’io mi metto in cammino con gli alunni, divento loro compagna di strada; insieme impareremo il valore e la fatica di stare insieme, il senso della disciplina, della comunità e del sacrificio, la soddisfazione del dovere compiuto e delle difficoltà superate insieme. Questa è l’unicità del mio lavoro: sfidare il tempo e rimanere sempre fanciulli tra i fanciulli, continuare ad imparare anche quando siamo dall’altra parte della cattedra, gioire anche quando la vita non ci porge il suo volto migliore, condividere lacrime e sorrisi. Eˋla più grande lezione di umanità che potremo regalare a loro e a noi stessi.
Prima di ogni lezione mi chiedo come poter presentare un argomento in modo accattivante e non scontato, cosa mi aspetterei io, se fossi nativa digitale, al posto dei miei alunni? Sicuramente vorrei essere affascinata, trasportata in una dimensione fuori dal reale, vorrei essere convinta della bellezza e della bontà di ciò che mi viene detto; vorrei che i miei insegnanti fossero abili affabulatori (pochi dei miei lo sono stati), narratori di sé stessi e di ciò che sanno… Allora, scelgo di partire dai ragazzi: da ciò che già sanno, dalla loro esperienza quotidiana, dalle loro opinioni, dal loro senso della bellezza (non glielo dobbiamo insegnare, dobbiamo solo tirarlo fuori). E accade il miracolo: sono loro che mi affascinano e mi ricordano che sono stata anch’io tra i banchi, entusiasta con i miei sogni e le intemperanze di adolescente (quasi li invidio); mi lascio contagiare e dimentico la delusione e la stanchezza della quotidianità; riprendo il cammino con rinnovato entusiasmo in vista di nuovi traguardi da condividere con loro. Un collega da poco in pensione, incontrato in occasione di un esame, mi ha detto: “La scuola è una questione di amore”. In effetti, solo una vera passione per il mondo dei giovani, un reale interessamento verso di loro può sostenerci nella fatica quotidiana, resa ancora più insopportabile da un sistema politico che non solo non punta a migliorare la scuola, ma cerca di sminuirne il ruolo sociale.