top of page

Togli da noi, Signore, il cuore di pietra e donaci un cuore di carne

Il profeta Ezechiele parla di questa fatica che Dio intende affrontare nei confronti del suo popolo. Egli è ben intenzionato a strappare dal suo popolo, da ogni uomo quel cuore, che sa di pietra: a tanto è giunto il suo processo di sclerotizzazione. Il cuore di questo popolo ha perso ogni capacità di commozione, ha smesso di vibrare, non è più un cuore umano. Perciò Dio dice attraverso il profeta che toglierà il cuore di pietra e gli donerà un cuore di carne, un cuore che sia capace di ascoltare il grido dell’altro, chiunque egli sia (Ez 36,26).La presenza in mezzo a noi di tante persone provenienti da altri paesi, una presenza che con il passare degli anni è diventata sempre più visibile ha mandato in corto circuito il nostro equilibrio umorale. Questa presenza ci disturba, ci inquieta, ci fa paura, tanto da sentirci impoveriti, derubati, insicuri. Con molta superficialità dimentichiamo che la lunga e grave crisi economica che continuiamo ad attraversare non è stata causata da loro, ma dalle privilegiate stanze del potere finanziario e bancario. Ma in questo momento sembra che la causa di tutti i mali siano proprio loro: i migranti.La nuova politica, quella emersa dalle ultime votazioni, e che viene identificata come politica “giallo-verde” ha deciso di cavalcare alla grande questo senso di spaesamento, che interessa il Nord come il Sud d’Italia. La difesa dagli arrivi dei migranti è stata assunta come punto prioritario dell’azione di questo governo cosiddetto nuovo. I migranti smettono di essere persone in carne ed ossa, che intendono lasciare alle loro spalle una realtà fatta di guerra, di violenza, di fame per giungere ad una terra che permetta a loro almeno di vivere. Per gli uomini di questa nuova politica essi sono soltanto dei clandestini e per questo dei criminali in quanto attentano alla sicurezza e al benessere del nostro paese.La nuova politica si presenta con il volto cinico di un ministro, che sembra incapace di provare un minimo senso di umanità: per lui come per tutta questa classe dirigente questi clandestini non hanno diritto di essere considerati nella loro umanità disarmata e che porta i segni nella propria carne delle tante violenze subite.Ci possiamo dire ancora cristiani? Nella sua volgarità la nuova politica ha permesso di far emergere in totale chiarezza quello che pudicamente ognuno teneva nascosto nel suo intimo. Questo modo rozzo di parlare da parte del ministro degli Interni ha fatto uscire il paese da quell’ipocrisia, che era stata la cifra degli ultimi decenni: non ci sentiamo razzisti, ma facciamo tutti gli accordi possibili per ricacciare indietro quanti vogliono attraversare il mare. E così una certa parte di quel dieci per cento che frequenta la Messa domenicale trova quanto mai opportuno adottare questa politica del respingimento ad ogni costo e non trova nessuna contraddizione con la sua fede ripetere lo slogan: “prima noi”.

Ripetere questo slogan come un mantra serve soprattutto ad acquietare la propria coscienza, ma questa parte di cristiani fedeli all’appuntamento domenicale non si accorge che alimentare questi sentimenti significa aprire la porta ad un pensiero razzista. Con la bandiera del “prima noi”, “prima gli italiani” si finisce inesorabilmente con il privare l’altro della sua umanità e del suo diritto ad essere considerato come persona umana. Facendo in questo modo si riduce l’altro ad un semplice fastidio: un nemico da eliminare in qualsiasi modo, da far scomparire dal nostro raggio di azione.

La nuova politica, approfittando delle nostre paure e di quel naturale spaesamento per una presenza di migranti sempre più corposa, ci sta conducendo verso una progressiva perdita di umanità, bollata come ‘buonismo’. Più passano i giorni e più cresce nel sentire di tanti cristiani un sentimento di indifferenza, di intolleranza, di chiusura.

Ma cosa può voler dire per un cristiano: celebrare l’eucarestia? E’ vero che alcuni di noi cristiani frequentano la messa domenicale per quell’obbligo, che li ha accompagnati sin da bambini e che non sono mai riusciti a farlo diventare una scelta cosciente, capace di dare un senso vero alla propria esistenza. Celebrare l’eucarestia vuol dire, per un cristiano un po’ più maturo, fare della propria vita un rendimento di lode, un’offerta che il Padre possa gradire così come ha gradito quella di Gesù Cristo, suo Figlio. Unendosi a Cristo Gesù e lasciandosi educare ed illuminare dalla sua Parola questo cristiano, un po’ più maturo, vuole fare propria la stessa vita di Gesù.

Ed è proprio questo il vero punto di contraddizione: ci si può accostare alla mensa del Signore e continuare a pensare come gli altri? Cosa vuol dire per questo cristiano: mangiare il corpo del Signore? Si può mangiare il pane del Signore senza diventare allo stesso tempo quel pane spezzato e condiviso? La vera eucarestia, il vero rendimento di grazie consiste soprattutto in quel fare della nostra vita, a somiglianza del nostro Signore Gesù, un dono a perdere, un pane che si lascia mangiare. Vivere la propria esistenza in chiave eucaristica significa allora smettere di pensare unicamente alla propria comodità, al proprio interesse, per aprire, invece, la nostra vita a gesti di gratuità e di vera condivisione. Il cammino che ci propone la celebrazione eucaristica è una strada che ci porta a crescere sempre più in umanità, in attenzione verso quel prossimo, che non abbiamo scelto noi, ma che ci ritroviamo a nostra insaputa ai bordi delle nostre vie. Chissà se riflettendo su queste cose arriveremo a vergognarci di ripetere anche noi: “prima noi!”.

bottom of page