I laici, il Concilio, la diocesi messinese
L’insegnamento del Concilio Vaticano II ha aperto strade che solo le chiese locali possono esplorare e percorrere. Come stiamo recependo il Concilio nella nostra diocesi? Per rispondere a questa domanda citerò un discorso del 1950 di Pio XII. In quell’occasione il papa auspicava la crescita di una “opinione pubblica” nell’ambito stesso della Chiesa (naturalmente, nelle materie lasciate alla libera discussione). Di ciò non possono stupirsi se non coloro che non conoscono la Chiesa o la conoscono male. “Essa infatti è un corpo vivente, e qualche cosa mancherebbe alla sua vita se le facesse difetto l’opinione pubblica: mancanza, questa, il cui demerito ricadrebbe sui Pastori e sui fedeli”. Ecco, se dovessi segnalare un’urgenza, mi sentirei di sottolineare proprio questo: esiste un’opinione pubblica nella nostra chiesa locale come condizione per favorire ed accompagnare una recezione più profonda ed ampia delle riforme conciliari? Se da un lato, infatti, appaiono evidenti i progressi nella recezione del Concilio: centralità della Parola di Dio, riscoperta e conoscenza della Bibbia, riforma liturgica, dialogo ecumenico ed interreligioso, è anche vero che non tutto il popolo di Dio è ancora pienamente coinvolto. Che fare? Gli organismi pastorali stimolano la diffusione dell’opinione pubblica nella nostra diocesi? Un organo di stampa come La Scintilla ne favorisce la circolazione? Come cattolici siamo presenti con intelligenza, coraggio ed equilibrio, nei mass media locali? Tutto ciò favorirebbe non poco anche l’inculturazione della fede, come auspicato da papa Francesco. Gli strumenti ci sono, ma devono essere valorizzati da tutti. Per esempio, l’animazione della Consulta diocesana delle aggregazioni laicali dovrebbe essere compito di tutti gli appartenenti, non solo di qualcuno o del direttivo. Senza un’ordinaria e quotidiana pratica sinodale, come si può immaginare un sinodo diocesano? I laici, in particolare, non devono aspettare di essere trainati, ma assumere la parte di responsabilità che gli compete. I testi conciliari considerano legittima e giusta l'autonomia di azione dei laici, ma se la mente è ancora ferma ai blocchi di partenza o, addirittura, al codice di diritto canonico del 1917 che parla dei laici come sudditi, non lamentiamoci poi del rinascente clericalismo che vede il laico più impegnato nell’ operatore pastorale, come se l’autorevolezza soggettuale, iscritta nell’ iniziazione cristiana, di cui tutti i cristiani sono portatori, a partire dal battesimo, si manifestasse soprattutto nell’organizzare veglie, fare catechismo, etc etc. Che fine ha fatto “l’indole secolare”? Se molti cattolici ignorano la dottrina sociale della chiesa anche temi come l’immigrazione saranno affrontati senza discernimento e competenza alcuna.
Possibile che la celebrazione eucaristica si riduca ad un fatto interiore e devozionale, senza sprigionare la sua dimensione sociale e politica? Mi piacerebbe aprire un confronto su questi punti.