Cirenei per scelta
Il racconto della Passione di Gesù ci presenta, tra le altre, anche una figura apparentemente marginale, dato l’esiguo spazio che le è riservato, ma di fondamentale importanza; un personaggio secondario, una figura misteriosa che lascia un’impressione di tenerezza profonda e di empatia nel lettore attento: Simone di Cirene, detto il Cireneo. Simone viene dai campi, un contadino, un padre di famiglia (“padre di Alessandro e Rufo”, Mc. 15, 24) che, all’improvviso, è costretto dai soldati a portare la croce di Gesù; in Lc. 23, 26 leggiamo che “gli misero addosso la croce”. Cosa avrà pensato Simone? Lo allontanano dalle sue occupazioni e dalla sua famiglia per caricargli sulle spalle la croce di un condannato qualunque. Strapparlo così alla sua vita e alle sue abitudini! Rallentare e deviare bruscamente il suo cammino! Nessuno ha pensato che anche lui potesse avere bisogno di aiuto? … Perché? Non è possibile! I suoi progetti in un attimo sono sovvertiti e si trova a camminare dietro ad uno sconosciuto, e per di più condannato alla crocifissione (un poco di buono, insomma)! E dopo? Cosa avrà portato nel cuore Simone dopo avere assolto il suo compito gravoso? Quali impressioni, quale commozione davanti al dolore del suo compagno di strada? Certamente, dopo averne percepito la fatica, averne visto la sofferenza sul volto, non sarà tornato alle sue occupazioni con lo stesso spirito. D’altronde, anche se per un breve tratto, ha condiviso la strada di un condannato a morte.
E se anche a noi capitasse un’esperienza simile? Il nostro tempo rifiuta il pensiero stesso di sofferenza, dolore, debolezza: poco si accordano con il mito della forza, della velocità e dell’efficientismo. Abituati a trovare una spiegazione razionale di tutto, non riusciamo ad accettare un’esperienza che di razionale ha ben poco e che ci mette crudamente di fronte ai nostri limiti e alle nostre paure. Il dolore è ingiusto, insopportabile, imprevedibile; ci rallenta il cammino, ci costringe a cambiare programma e a rinunciare a qualcosa di nostro. Dio si é dimenticato di noi!
Anche Gesù sulla croce grida la fragilità della sua umanità: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma, dopo, si abbandona completamente nelle mani del Padre (“Nelle tue mani consegno il mio spirito”). Ecco: é proprio in quella croce il senso delle nostre miserie perchè è il segno della debolezza e della forza ad un tempo; è il segno del passaggio dalla morte alla vita; il testimone che Gesù ci passa dal Gòlgota: dolore e morte sono passaggi obbligati per raggiungere la risurrezione e in quest’ottica acquistano un senso che, diversamente, non avrebbero.
Come Gesù ha incontrato Simone, così anche noi siamo chiamati a diventare cirenei dei nostri compagni di strada, non perché costretti, ma per scelta: per empatia o perché nel volto sofferente e nell’animo piagato di chi sta accanto a noi dobbiamo riconoscere il volto di Gesù sofferente. Come, infatti, rimanere insensibili di fronte al dolore di chi condivide il cammino con noi? Come permettere che cada sotto il peso della croce? Condividere quel peso è, però, un’esperienza che richiede la capacità della presenza silenziosa e tenera che sa asciugare le lacrime, della tenacia e della speranza di chi sa trovare un senso anche nel dolore più estremo, di chi sa credere oltre ogni ragionevole dubbio, anche quando il miracolo atteso ed implorato non arriva, anche quando il grido di dolore sembra rimanere inascoltato.