Apostole degli apostoli portatrici di Cristo
L’annuncio della Resurrezione è stato affidato alle donne, alle Mirofore, le portatrici di unguento, che si recano al sepolcro portando l’olio profumato e, pur cercando Cristo come un mortale, hanno il privilegio di adorarlo per prime come Dio vivente e di annunziare ai discepoli il mistero della Pasqua. Mi sembra di vedere Maria di Magdala, Giovanna e Maria, madre di Giacomo che, all’alba, il primo giorno della settimana, si muovono al buio con fare circospetto, piene di paura a causa di tutti gli eventi appena accaduti; mi sembra di poter leggere i loro pensieri, di condividere il loro senso del dovere, che le porta a compiere il rito prescritto, e lo struggente desiderio, tutto femminile, di cercare, di rivedere e piangere l’amato bene a loro strappato. La pietra è stata spostata, il sepolcro è vuoto; mentre si chiedono cosa sia successo, due uomini in abito sfolgorante appaiono loro e dicono: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto” (Lc 24, 5-6). Corrono allora ad annunciare agli Undici e agli altri quello che è accaduto, ma nessuno crede alle loro parole, sono donne, vaneggiano. Solo Pietro, pur essendo incredulo, va al sepolcro e se ne torna pieno di stupore per l’accaduto. E’ Pasqua di Resurrezione, un nuovo giorno ha inizio. Le Mirofore, che nei terribili momenti delle torture e della crocifissione hanno seguito il Salvatore e non l’hanno mai abbandonato, rimanendo sempre nell’ombra, ricevono il mandato di annunciare che Cristo è risorto, diventano apostole degli apostoli, portatrici di Cristo; Myron, infatti, nel Cantico è il nome dello Sposo (Ct 1, 3) ed è uno dei titoli dati dalla chiesa greca a Cristo, il figlio di Dio “Unto” nello Spirito quale Re, Sacerdote e Sposo della Chiesa. Gesù, “superando i canoni vigenti nella cultura del suo tempo, ebbe nei confronti delle donne un atteggiamento di apertura, di rispetto, di accoglienza, di tenerezza. Onorava così nella donna la dignità che essa ha da sempre nel progetto e nell'amore di Dio” (Lettera alle donne, Giovanni Paolo II, 1995). Ed oggi, che ruolo riveste la donna nella Chiesa cattolica? O meglio, qual è il suo ruolo in rapporto a quello dell’uomo? Ci muoviamo ancora sulla via tracciata da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris dignitatem del 1988, in cui l’intuizione del “genio femminile” veniva a coincidere con una specifica vocazione della donna al servizio, all’amore oblativo, complementare del modello proposto agli uomini e, di conseguenza, diverso? Il “genio femminile” ha intrappolato le donne in un uno stereotipo di “serve gentili” che le ha tenute per troppo tempo lontane dalla sfera decisionale.
Le due lettere contengono, invece, un altro elemento che si apre alla riflessione, il legame tra femminile e trascendente, che già nell’”Humanae vitae” Paolo VI afferma riguardo alla procreazione, la quale sola vede interagire l’uomo e la donna con la volontà divina. La filosofa Catherine Chalier, studiosa di Levinas e del rapporto tra pensiero ebraico e filosofia, afferma che la donna, accettando la maternità, «risponde a un appello che non ha scelto, ma che l’ha eletta» e diventa così «il non-ancora, cioè l’infinitamente futuro che è il generare»; se la donna rappresenta l’altro dall’uomo, essa è anche simbolo del trascendente, alterità per eccellenza. La complementarità tra uomo e donna crea tra i due sessi una simmetria rassicurante che però, di fatto, non si apre al trascendente; se, invece, si considera la donna come altro dall’uomo, senza dover ricorrere al genio femminile, il rapporto asimmetrico tra i due sessi diventa un sistema aperto alla trascendenza, alla presenza di Dio nel vincolo matrimoniale. E’ in nome di questa alterità che chiediamo solo di essere ascoltate. Non è un caso, allora, che il Risorto sia apparso alle donne per prime, che l’annuncio della Resurrezione sia stato affidato alle mirofore; il sepolcro è aperto e vuoto perché da esso ha inizio una via nuova, come il grembo materno, quando si apre e da esso ha inizio una nuova vita.