Nell’edificare la chiesa
Parroco da oltre trent’anni in contesti sociali, culturali, economici, religiosi molto diversi, seppure poco distanti l’uno dall’altro nello spazio, mi sono sempre sforzato di “leggere” il territorio in cui le comunità affidate al mio ministero sono radicate ed ho impegnato i doni che il Signore mi ha affidato per orientare queste porzioni di Chiesa in un cammino al passo con i tempi, fedele agli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, e per dare loro un volto missionario gioioso, credibile, partecipativo, inclusivo, aperto alle problematiche ed alle istanze di tutti coloro che, in questi decenni di radicali mutamenti, cercano Dio e desiderano vivere nella sequela di Cristo.
Per me, l’indicazione del vescovo Ignazio Cannavò alla chiesa locale, “Da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria”, come le linee tracciate in continuità con quell’intuizione dallo zelante Mons. Giovanni Marra, hanno costituito e costituiscono la stella polare per non smarrirmi in questi ultimi anni di disgregazione del tessuto ecclesiale messinese, scosso da eventi e situazioni deplorevoli e messo a dura prova da una “governance” che non si percepisce o è poco apprezzabile per un deficit di comunione. La navigazione a vista della barca tra i flutti di un presente molto incerto e precario, talora, incaglia tra gli scogli la fragile esistenza delle comunità parrocchiali.
Posso con serenità e con verità affermare che l’azione pastorale condivisa con operatori pastorali motivati, generosi, disinteressati, solleciti, non è stata e non è priva di frutti in questa stagione di avanzata del deserto spirituale e di indifferenza religiosa. Le consolazioni del Signore non mancano.
Un cruccio mi porto nel cuore: perché, nonostante le tante presenze pastorali e le realizzazioni in ogni aspetto della vita parrocchiale, fatichiamo a diventare una “comunità” in cui ciascuno si sente accolto, amato, a suo agio, felice di farne parte?
Un possibile problema di fondo? Il familismo amorale che impedisce di stabilire legami comunitari oltre i propri “consanguinei” o il proprio “clan” d’elezione:
cioè il “protagonismo” settario di liberi battitori o di prime donne, leader/capi che s’impongono sugli altri. Vero tarlo roditore d’ogni crescita di una socialità partecipativa, solidale ed autenticamente comunitaria! Tutto è vanificato quando si resta radicati nel tribalismo. Sul cambio di questa gretta mentalità dobbiamo scommettere tutti se vogliamo rispondere all’azione dello Spirito Santo per edificare la Chiesa di Cristo come pietre vive, ben compaginate.