top of page

Sommersi da “scismi” Per una formazione comunitaria dei battezzati

Anche i cattolici, come tutti, cercano strumenti formativi per la loro crescita professionale e personale, ma quando si tratta di avere una maggiore conoscenza della fede e della dottrina solo in pochi rispondono. Come mai? Qui entrano in gioco diversi fattori. Innanzitutto, la concezione che la dottrina sia fondata su dogmi immutabili che non richiedono approfondimenti e, quindi: perché ripetere le cose che si conoscono fin da bambini? Un altro fattore è legato, temo, alla considerazione che i testi prodotti dal magistero (l’insegnamento della Chiesa) non abbiano niente da dire alla vita concreta delle persone, alle famiglie, alle attività che si svolgono.

Da un lato, quindi, ci sarebbe il magistero ecclesiastico, con i suoi insegnamenti e, dall’altro, la massa enorme di credenti distante da quanto la chiesa propone. Per rappresentare questa situazione, giusto 20 anni fa, il filosofo Pietro Prini pubblicò un testo molto interessante, Lo scisma sommerso. Ma in questi anni lo scisma sommerso si è allargato o ristretto? Non è solo, come spesso in passato, l’etica sessuale a non essere vissuta, ma l’insignificanza assoluta nella quale tanti credenti confinano i contenuti della dottrina sociale della chiesa che in questi anni ha ricevuto, grazie alle encicliche degli ultimi 40 anni, un nuovo slancio. Una fede fondata sulle emozioni deve essere integrata dal pensiero e dal rapporto con la ragione, come da sempre la tradizione cattolica ha fatto rispetto ad altre confessioni cristiane. Attingere a questo prezioso patrimonio non è facile, non solo perché in continuo sviluppo, ma anche perchè richiede chiavi di lettura non sempre semplici. Encicliche come “Caritas in veritate” di Benedetto XVI e “Laudato si” di papa Francesco, per esempio, dovrebbero essere conosciute da tutti. Una formazione comune aiuterebbe non poco a superare difficoltà personali. Serve una svolta che faccia tesoro delle numerose iniziative elitarie che anche in questa diocesi sono state realizzate, ma nella prospettiva di una formazione più comunitaria, che aiuti cioè ad avere una visione integrale ed inclusiva, senza separare laici e clero, operatori pastorali e fedeli della domenica. I laici, con la loro vita familiare e lavorativa densa di problemi e contraddizioni, darebbero un contributo indispensabile alla dimensione comunitaria integrando con la loro “sapienza” quotidiana la ricchezza dell’insegnamento magisteriale che attende proprio dai fedeli una verifica non tanto teorica, ma responsabile, sul campo, carica quindi di domande che nascono da un’esperienza concreta. Una grande risorsa potrebbe venire anche dalla pietà popolare che, se ben indirizzata, contiene un vissuto di valori e sensibilità molto validi e disponibili a recepire significati più complessi. Solo dopo questo primo momento comunitario si possono immaginare momenti più specifici come finora non accade nelle parrocchie.

bottom of page