Una Chiesa che cammina insieme
Nella nostra Diocesi ci si sta interrogando, in maniera sinodale, sulle sfide, prospettive e modalità più opportune per la formazione dei laici in modo che ogni cristiano percepisca la speranza a cui è stato chiamato e si senta spinto alla testimonianza cristiana, a spargere cioè il buon profumo di Cristo nei luoghi in cui si svolge la sua esistenza quotidiana. Da più versanti si invita la parrocchia ad aprire le proprie porte ed uscire dagli atrii sacri, ma malgrado alcune esperienze di vivace missionarietà nelle famiglie e nei quartieri, sporadici momenti di preghiera e catechesi nelle case, visita agli ammalati e agli anziani, il messaggio di Cristo non riesce a scalfire la crosta nella quale la coscienza tiepida della nostra società riposa. Di fronte alle gravi forme di ingiustizia sociale ed economica, corruzione politica, intolleranza e violenza, i cristiani non possono rimanere oziosi, devono sporcarsi le mani, lottare per una società più giusta e solidale. Al posto di un Cristianesimo sociologico in cui l’essere cattolico si confonde con l’appartenenza ad una tradizione culturale occorre riaccendere un Cristianesimo di testimonianza. È indubbio che oggi non esiste più all’interno della famiglia quella trasmissione di valori spirituali e religiosi che esisteva un tempo. I cosiddetti millennials cioè coloro che sono nati alla fine del secolo scorso, non hanno avuto trasmessa la fede dalla generazione precedente, i giovani oggi sono “la Chiesa che manca” (cit). Tuttavia, come ci insegna papa Francesco, sono proprio i giovani la speranza della Chiesa.
Ad essi dobbiamo dedicare le nostre maggiori energie formative perché sono loro che con la forza del loro entusiasmo e della loro creatività possono diventare lo strumento dello Spirito Santo che fa nuove le cose. Sono loro i profeti di un mondo riconciliato che vuole rinascere dalle ceneri dell’indifferenza e dell’odio. Non si può restare in silenzio quando sono in gioco i cardini della democrazia: solidarietà, pace, rispetto della dignità di tutti, unità dei popoli, giustizia, accoglienza degli ultimi. La fede non è ideologia e non è semplice e vago spiritualismo. Essa è azione concreta ed incisiva per il bene dei singoli e dei popoli. Essa è dunque anche impegno nella politica che come insegnò papa Paolo VI è la più alta forma di carità. Molti giovani sono capaci di grande donazione quando comprendono il valore per cui si impegnano. Occorre lanciare loro delle sfide significative ed invece, forse, nella formazione cristiana proposta nelle nostre parrocchie abbiamo dato loro dei contenuti elementari, scontati, non all’altezza delle loro capacità ed attese. Occorre formare cristiani adulti nella fede attingendo alle pagine della Sacra Scrittura e a quel vasto e inestimabile patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa, quell’insieme di principi, insegnamenti, orientamenti proposti dalla Chiesa cattolica per risolvere i problemi di natura sociale ed economica del mondo contemporaneo. La Dottrina Sociale oltre ad attingere alla Teologia si nutre dell’apporto delle Scienze umane. Questo permette di conoscere meglio le dinamiche umane, psicologiche, sociali in modo da poter attuare il duplice principio della fedeltà a Dio e all’uomo concreto ed assicurare una formazione completa ai cristiani del nostro tempo. Nelle comunità parrocchiali non dovrebbero mancare mai adeguate esperienze di spiritualità e di esercizio della carità nel vasto circuito di povertà che purtroppo esistono in ogni territorio, in modo che la fede, la speranza e la carità siano nutrite e crescano insieme. Il cristiano, malgrado il buio dell’ora presente non può rinunciare a pensare che con l’impegno di tanti il mondo possa cambiare in meglio.