Problemi di vicinato L’arciprete di San Vito ed i confrati delle Anime del Purgatorio
Il fortuito ritrovamento di una lettera datata 28 aprile 1850, presso l’archivio storico diocesano di Messina, rivela particolari inediti sui rapporti, a volte conflittuali, fra l’ex chiesa madre di S. Vito e l’attiguo oratorio delle Anime del Purgatorio. Nella missiva l’arciprete pozzogottese Melchiorre Consiglia - dopo aver fornito alcune notizie sull’erezione dell’oratorio all’arcivescovo di Messina, il cardinale Francesco Di Paola Villadicani - lamenta il mancato rispetto, da parte dei confrati, degli accordi pattuiti in origine. L’oratorio fu costruito colle sue mura attaccate ad un lato della chiesa madre, diviso regolarmente colla sua sagrestia, colla sua porta in fondo che sporche nel cimitero e con due porticelle che escono nella stessa chiesa madre dal lato adiacente, ma senza campanile proprio dell’oratorio […]. La sua fondazione rimonta al 1663 per un atto di concessione di terreno e case proprie della chiesa madre, fatto dallo arciprete e cappellani di quell’epoca sotto diversi patti stipulati col cappellano e confrati de tempore. Gli accordi stabiliti riguardavano innanzitutto le sante Messe, la cui celebrazione, il giorno dei defunti e per tutta l’ottava, doveva aver luogo esclusivamente nell’oratorio, al quale andavano destinati tutti i proventi della questua di quella settimana. Nello stesso luogo sacro, ogni lunedì dell’anno, si sarebbe esposto il Santissimo, recitando preghiere di suffragio a favore delle anime purganti, secondo le disposizioni testamentarie di don Diego Florelli del 1658. L’arciprete, inoltre, si impegnava a dare in prestito ai confrati per un solo anno gli arredi sacri della matrice, dietro il versamento di un’onza. Ai cappellani di S. Vito era infine riservato il diritto di officiare tutte le funzioni liturgiche nell’oratorio, compresa la celebrazione delle esequie dei confrati. Tuttavia, prosegue l’arciprete nella sua lettera, ben presto agli usi subentrarono gli abusi. Le due porticine di comunicazione fra l’oratorio e la chiesa di S. Vito - quelle attualmente murate in corrispondenza dell’altare del SS. Crocifisso - divennero l’ingresso principale, sicché, stando aperte le due porticine e chiusa la porta di fuori, l’oratorio serve come di ricovero, anziché alla pietà e divozione, piuttosto alla conversazione ed a scandalosi abusi. I confrati utilizzavano questo accesso per disporre liberamente della sacrestia della chiesa madre, del campanile e degli arredi sacri, anche oltre i termini pattuiti. Per porre fine agli illeciti, l’arciprete Consiglia fece appello al vescovo, supplicandolo di permettere la chiusura delle porte di comunicazione con un catenaccio, di regolamentare l’accesso al campanile e alla sacrestia e di vietare in futuro ai confrati l’uso delle sacre suppellettili della chiesa madre. Quale sia stata la risposta ricevuta non ci è dato sapere, ma certamente un’attenta lettura delle antiche carte riguardanti l’Arcipretura di Pozzo di Gotto, presso l’archivio storico diocesano di Messina, riserverà in futuro piacevoli sorprese.