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“La vita è bellezza, ammirala; la vita è vita, difendila” (Madre Teresa di Calcutta)



Secondo il rapporto ISTAT su natalità e fecondità nel 2018, anche l’Italia, come tanti altri Paesi, è interessata da un sensibile calo demografico che la candida a diventare tra breve un Paese di vecchi; nel 2018 sono stati iscritti all’anagrafe 439.747 bambini, oltre 18 mila in meno (-4%) rispetto all’anno precedente e quasi 140 mila in meno (-24%) rispetto al 2008. Il calo è da attribuire soprattutto alla diminuzione dei figli nati da genitori entrambi italiani; anche la quota dei nati da coppie con almeno un genitore straniero (96578, pari al 22%) è in diminuzione rispetto ai dati del 2012, mentre i nati da genitori entrambi stranieri sono 65.444, che equivale al 14,9% della totalità delle nascite. Aumenta il numero di coppie italiane con un solo figlio; il 46,5% si ferma ad un solo bambino, contro il 43% dei nuclei familiari con due figli e il misero 10,5% delle famiglie con 3 o più bambini. Domina il modello del figlio unico, ma quasi raddoppiano le famiglie monogenitoriali che passano da 535 mila nel 1999-2000 a 954 mila nel 2013-2014. Complessivamente, i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 20% rispetto al 2008. Per quanto concerne la fertilità, il numero medio di figli per donna scende a 1,29, mentre l’età media in cui la donna ha il primo figlio sale a 32 anni. Questi dati statistici ci inducono a riflettere su come stia mutando l’assetto sociale del nostro Paese, sia rispetto alla velocità, sia rispetto alle cause; la crisi economica, registrata negli ultimi anni, ha rivestito un ruolo di primo piano nell’amplificare l’effetto di alcuni fattori, quale la permanenza prolungata dei giovani nella famiglia di origine, dovuta sia a un tempo maggiore, rispetto al passato, da dedicare agli studi, sia alle difficoltà che essi incontrano all’ingresso nel mondo del lavoro; a ciò si aggiungono la precarietà del lavoro stesso, la bassa crescita economica e motivi di ordine culturale, che concorrono a definire una situazione critica e con poche chance di vita. Questi ultimi non sono da sottovalutare perché sono difficili da sradicare, in quanto attecchiscono nell’humus del culto dell’individualismo, trasmesso dagli adulti alle giovani generazioni, che si traduce nella assunzione di atteggiamenti e di comportamenti adolescenziali anche ad un’età che, per ragioni strettamente biologiche, dovrebbe essere quella della maturità. Bisogna fare i conti, poi, con una mentalità antinatalista che, come ha sottolineato papa Francesco in Amoris laetitia, 42, nella società dei consumi è diffusa tra le persone in vista del mantenimento della loro libertà e del loro stile di vita: un bambino potrebbe intralciare la realizzazione delle aspirazioni di uomini e donne in carriera, o il legittimo diritto al soddisfacimento dei piaceri e della voglia di divertirsi fintantoché si è giovani. Chi è così stupido da rinunciare alle nottate in discoteca e in giro per locali fino all’alba per le notti in bianco passate ad allattare e a consolare un bambino che piange? Vuoi mettere poi il fastidio di insegnarli a mangiare, a camminare, a pulirsi, a non farsi male, a scrivere, a leggere, quando, invece, si potrebbe andare in giro per il mondo a fare esperienza? L’età del primo figlio per una donna si spostata sempre più in avanti, con tutte le conseguenze che conosciamo: ricorso alla fecondazione assistita e a cure ormonali, coppie che scoppiano, difficoltà nelle relazioni tra genitori e figli a causa del gap generazionale (la società si evolve a ritmi vertiginosi). Da un lato ci troviamo di fronte alla disperazione di chi desidera un bambino e non può averlo per disparati fattori fisiologici, dall’altro di fronte all’uso endemico tra le giovani donne della pillola del giorno dopo, di metodi contraccettivi usati male o con troppa leggerezza.

L’altra faccia della medaglia: conosco una città siciliana in cui il tasso di natalità è alto, una città giovanissima, con molti bambini in età prescolare e scolare, con molti papà e mamme minorenni o ventenni; potrebbe essere un indice positivo di inversione di tendenza per quanto concerne il tasso di natalità a livello nazionale. Non è così. Abbandono precoce degli studi, anticipazione dell’età del primo rapporto sessuale, mancanza di lavoro sono strettamente legati tra di loro e non possono farci propendere per una lettura positiva del dato registrato. La complessità delle esperienze con cui dobbiamo quotidianamente confrontarci non deve indurci a ripiegare con egoismo su noi stessi, né a mascherare la nostra impotenza con l’indifferenza. Se siamo cristiani, conoscere, collaborare, accogliere diventano un imperativo morale.

La prima domenica di febbraio si festeggerà la Giornata per la vita; “impegniamoci a custodire la vita dal suo inizio fino al suo naturale termine e a combattere ogni forma di violazione della dignità umana. Non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri; il frutto del Vangelo è la fraternità” (dal Messaggio del Consiglio permanente della CEI, 02/12/2019).

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