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Un ginepro ed una focaccia

Ci siamo inoltrati appena nel nuovo anno tra speranze ed attese di novità mentre sperimentiamo, da subito, immancabili prove e delusioni. Il passo si fa incerto e pesante, la spossatezza ci sorprende, ci pervade un senso di impotenza e di inutilità. Con Elia, ci accasciamo al suolo, all’ombra del nostro ginepro e, sfiniti, sussurriamo: “Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri."

Le ragioni di questa nostra fatica di vivere, di andare avanti, sono forse da individuare dentro di noi, in una incapacità di vivere questa epoca di cambiamento dei popoli, delle società e delle culture, della chiesa. Lo scoraggiamento e la sfiducia demotivano e precludono ogni iniziativa nuova consegnandoci al pessimismo e inducendoci a gettare la spugna come persone e come comunità.

Per chi è parroco, animatore pastorale o comunque consapevole e responsabile di una missione di apostolato ha il sapore amaro del fiele il fallimento. La tentazione della rinuncia e dell'abbandono serpeggia negli animi di una comunità povera, fragile, insignificante, e che ragiona secondo logiche umane. Se è vero che noi ci ritroviamo tutti sotto il ginepro di Elia, è altrettanto vero e consolante che partecipiamo anche del suo destino di comunione con il Signore e pertanto come lui siamo sostenuti nella lotta.

Che cosa risponde Dio ad Elia? Nulla. Semplicemente gli pone dinnanzi una focaccia, cibo che rinvigorisce il corpo e lo spirito per riprendere il cammino di un nuovo esodo: "Mangia, perché troppo lungo è per te il cammino"! Proseguiamo verso il santo monte di Dio con il suo cibo della Parola e del Pane condiviso con i fratelli che perseverano nella fede e offerto a quanti attendono di essere nutriti.

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