Perché nessuno vada perso
Un nuovo duro colpo è stato inferto alle organizzazioni criminali del messinese e in particolare della nostra Barcellona Pozzo di Gotto. L’eccellente attività investigativa ha anche consentito di fare luce sulle numerose estorsioni attuate da anni nei riguardi di esercenti ed imprese. Una risposta forte contro tutte quelle cellule malate che pensano di assicurarsi il controllo del territorio attanagliando piccoli imprenditori e professionisti: la Mafia è un cancro societario, che arriva a minare la salute psicologica e morale di un’intera società. Peppino Impastato griderebbe a gran voce ancora oggi: “la mafia è solo una montagna di merda”. Il succedersi di operazioni antimafia dimostra l’incisività dell’azione della magistratura e delle forze dell’ordine sull’intero territorio nazionale: la lotta alla criminalità organizzata costituisce una priorità e tutte le istituzioni sono impegnate con determinazione per garantire la legalità e la sicurezza dei cittadini. L’operazione “Dinastia” ha un epilogo giudiziario importante grazie alle forze dell’ordine ai nuclei investigativi e alla procura che ha realizzato un lavoro eccellente. Da educatrice però mi rendo conto di un’ennesima sconfitta, poiché se i figli dei mafiosi che hanno già sperimentato la sofferenza attraverso la persona dei rispettivi padri, la paura del vivere le cose semplici, il carcere, gli affetti perduti, l’essere riconosciuti solo perché “figli di” e quasi mai per quello che realmente sei, non scoraggia i giovani a desistere dal brutale fascino della mafia e questo merita una seria riflessione. La mafia è una prigione culturale, una stretta nella libertà oggettiva della persona in genere, non vi è un reale spessore etico-morale, uno spiraglio del sentire gesti di umana bellezza. La mafia non ha nulla di oggettivamente bello: dai riti di affiliazione, all’ignoranza becera, al non rispetto per la vita altrui. Si rimane stupiti dal fatto che dopo anni di “lavoro” antimafia ancora oggi i figli e i giovani appartenenti alle famiglie di padri, nonni, zii detenuti, ritenuti mafiosi, anch’essi seguono il loro non virtuoso percorso e ciò impone una riflessione importante a tutte le agenzie educative.
Credo che vada abolita la parola “antimafia”, non va fatta della legalità un idolo o una bandiera da tirare fuori al bisogno ma serve sempre ricordarsi che la legalità non è un valore in sé, non è il fine, perché l’obiettivo è la giustizia, una giustizia che assicuri la verità. Oggi c’è il rischio che antimafia diventi una parola astratta che tutti usano e abusano mentre nel nostro Paese sono cresciuti l’illegalità e la corruzione. Qualcosa non funziona e in primis perché abbiamo visto usare questa parola da parte di quelli che la calpestano. Lotta alla mafia vuol dire lavoro, vuol dire politiche per i giovani, servizi per le persone, vuol dire giustizia sociale, crescita culturale, vuol dire potercela fare insieme!
Tutti siamo certi che Dio non può benedire l’agire malavitoso: il mafioso sa che, pur se partecipa all’Eucarestia domenicale o alle processioni, vive comunque fuori dalla grazia di Dio e sa che lui nulla a che fare con il Vangelo di Cristo.
Sconforta che anche i giovani, ancora oggi, vengano attratti dalla mafia e che le molte agenzie educative presenti sul territorio e gli innumerevoli sforzi di educatori, religiosi, insegnanti… non riescano ad incidere fortemente su tale questione.
Voglio sperare che domani, le istituzioni lavorino più a stretto contatto con le forze sane del territorio (oratori, parrocchie, scuole, centri sportivi) attivando una sorta di task force per il servizio educativo dei giovani affinché nessuno vada perso. Don Bosco, scriveva “in ogni giovane c’è un punto accessibile al bene”. Ci credo fortemente! Desideriamo far leva su questo bene, desideriamo che nessun giovane vada perso ma…. Che per ognuno di loro vi sia un sogno “bello” da poter realizzare.