Una valigia di ricordi Dall'esperienza in Tanzania
Nove mesi sono pochi per poter parlare di Africa e di Tanzania, ma certamente sono sufficienti per raccontare cosa può colpire nel profondo e in maniera più forte uno "mzungu" (bianco) felicemente catapultato in quelle terre. La quarantena “forzata” di questo periodo, poi, e l’isolamento in stile eremitico dopo il mio ritorno in Patria non hanno che reso questi giorni un vero e proprio tempo di “esercizi spirituali” tra bilanci e ricordi, pensieri e speranze future. Sì è vero che l’Africa ti viene dietro: ti segue o forse insegue, attanaglia i pensieri quotidiani, i sogni notturni e tutto ciò che ti circonda. C’è tanto della Tanzania che sorprende, scardina la mente e fa sobbalzare il cuore di coloro che, come me, dell’Africa sono stati “ospiti”. Anzitutto il mantra quotidiano del fare e del vivere “pole pole” (piano piano) che si scontra con l’assillo del “tempus fugit” mio e nostro che spesso non ci fa gustare davvero appieno la bellezza di tante piccole cose che abbiamo e che ci accadono. C’è poi quell'accoglienza propria di chi probabilmente non ha nulla, almeno in un'ottica del tutto materiale, ma che sa donare quel poco che ha (quel suo tutto, in realtà) con immensa generosità e verità d’animo: come aveva ragione il Vangelo parlando della vedova al Tempio con le sue sole due monetine che stavolta si vede letteralmente incarnato nella generosità di quella madre con tre figli in attesa della colazione che pur avendo soltanto cinque "chapati" (piadine) sul fuoco, al tuo passaggio e per il solo fatto di aver salutato e di esserti trattenuto qualche istante, te ne dona una (e qui non accettare è una cosa davvero impossibile!) o nella bontà di tutti quei mercanti che, a fine giornata, lasciano "gli avanzi" delle loro bancarelle al mercato lì sui tavoli, a disposizione di quei "fratelli che hanno fame" e che non hanno modo di acquistarli o, ancora, nella grandezza di cuore di chi, pur avendo poco, ogni domenica, partecipando a messa, continua a lasciare un'offerta in parrocchia, fermamente convinto che il primo e più grande dono della fede sia la Carità anche quando costa un po' più di sudore e sacrificio.
Se tutto ciò – che è un po’ la porta d’ingresso di questa terra – per noi membri della civiltà "evoluta" non fosse abbastanza, c’è un valore aggiunto, un ingrediente segreto – per me una lezione di vita – che da un sapore unico a questo popolo e che è “il sorriso h24”: sarete sempre circondati dai sorrisi anche quando le piogge sembrano non arrivare e tutto diventa più difficile o quando sei costretto a far giocare tuo figlio con quattro tappi di plastica perché le biglie costano troppo. Da quelle parti ci sarà sempre un motivo per sorridere perché basta andare oltre con gli occhi del corpo per vedere che sotto il nostro naso c’è abbastanza per farci esclamare costantemente "asante", “grazie”!
E allora non resta che dire “karibuni Tanzania”, perché in questa terra tutti sono i benvenuti ma attenzione a venire e a lasciarsi catturare nel profondo da tutto questo: il rischio di tornare a casa con i sintomi del mal di Africa è altissimo e non c’è cura che tenga!