“Ad quid venisti?”
“Per quale fine sei venuto?” Citando questa domanda di San Bernardo, San Gaspare del Bufalo, fondatore dei Missionari del Preziosissimo Sangue, era solito rivolgersi ai membri della sua congregazione attraverso le sue lettere circolari in occasione degli annuali “santi esercizi di regola”. Molto spesso infatti questi suoi messaggi cominciavano con una riflessione finalizzata a rinnovare le motivazioni di ciascuno dei destinatari riguardo alla propria adesione consapevole all’Istituto. Nella sua lettera del 1837 egli sostiene che non si può essere nella sua congregazione “per operare secondo il proprio modo di pensare […] ma sono nell’Istituto per attendere a vita di spirito, per esercitarmi nell’ubbidienza, nell’umiltà, per produrmi alla gloria di Dio, e con un santo abbandono in Dio stesso, affine di conoscere il suo divin beneplacito”. Queste parole in fondo sono valide per ogni realtà religiosa in quanto spronano ad una conversione prima di tutto a livello del singolo e poi anche a livello di un’intera congregazione e della vita religiosa in generale.
Queste riflessioni toccano il grande tema della riforma della vita religiosa che non può essere solo una riforma istituzionale e materiale, ma una vera e propria conversione. Nel Decreto “Perfectae Caritatis”, il Concilio Vaticano II auspicava una rinascita della vita religiosa affinché questa fosse più adatta ai tempi in cui la chiesa stava per entrare. Nel n. 2(e) del documento viene detto: “le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale”. Cosa vuol dire tutto ciò? È sufficiente che un istituto religioso o società di vita apostolica elabori un ottimo programma di riforma affinché un giovane o una giovane scelgano questo stile di vita? A quale scopo entrare in una realtà come questa che al nostro tempo può sembrare essere in una fase di declino? Per quel che mi riguarda, come membro della Congregazione di San Gaspare, mi sembra di capire che quanto il mio fondatore affermava è uno sprono valido per ogni religioso, perché il nostro rinnovamento renda la nostra vita più luminosa, oltre che ben organizzata.
La mia personale esperienza mi dice che si risponde alla chiamata di consacrazione nella misura in cui è visibile che quello che viene proposto non è solo un ricco programma di aggiornamenti e iniziative, ma una vera e propria testimonianza che manifesta non solo il bene, ma anche il bello. La sfida a cui oggi dobbiamo rispondere come consacrati è quella di manifestare una bellezza non effimera, ma divina, capace di attrarre quanti sentono di essere chiamati a qualcosa di bello oltre che buono.