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Ri-creare dal silenzio

Potrebbe accadere di nuovo; comunque sia, il ricordo delle vie, delle piazze cittadine desolate, per effetto dei decreti relativi alla pandemia da COVID 19, non ci abbandonerà. Ci siamo subito resi conto di essere poco avvezzi al silenzio, a quella disposizione naturale dell’uomo misconosciuta, da ultimo sopraffatta dalla tensione all’autocelebrazione e al trionfalismo dell’homo technologicus. Quel silenzio, eco del sacrificio di vite che si stava consumando nel nostro paese, si imponeva come specchio del nostro essere fragili, nudi di fronte a noi stessi; la pandemia, oltre a farci temere per la salute, ha generato in noi un profondo disagio perché ci ha privato della facoltà di gestire le relazioni affettive, sociali e lavorative secondo modalità improntate alla libera scelta; istintivamente abbiamo alzato un muro di difesa tra noi e il silenzio, illudendoci di dare vita con lo smartworking, con l’uso compulsivo dei social all’universo dei riti quotidiani che ci era stato strappato. Il rimanere costantemente on-line si è tramutato in on-life, in vita vissuta restando appesi al PC o al cellulare; reclusi nelle nostre abitazioni, ci siamo sentiti liberi creando le condizioni di una “vita parallela”, di una vita virtuale e, di fatto, dipendendo da essa. La libertà, infatti, non consiste nell’assenza del dolore e degli affanni, ma nella capacità di elevarsi al di sopra di essi, nell’affrontarli senza lasciarsi sopraffare.

Anche la nostra vita da cristiani, che trova significato nell’autonoma adesione al progetto di Dio, ha risentito dell’attacco virale. Ricordo bene la sensazione di vuoto e di dolore provata quella domenica di marzo in cui ci è stato annunciato che per un periodo indeterminato non avremmo potuto partecipare ad una celebrazione eucaristica. La tranquillità è subentrata solo attraverso l’accettazione di quello che il Signore mi chiedeva. La Messa mattutina celebrata dal Papa e trasmessa in televisione, le celebrazioni eucaristiche in diretta streaming, i messaggi e il commento della parola divulgati attraverso i social si sono rivelati fondamentali mezzi di orientamento nello smarrimento generale; nulla, tuttavia, può sostituire l'unicità dell'incontro con Gesù Eucaristia, che nasce dalla condivisione degli sguardi di coloro che vi partecipano, dalla percezione fisica dei fratelli, convenuti con noi per lo stesso desiderio, dalla eterogeneità delle esperienze di vita, sia dei presenti sia degli assenti, che in Lui trovano composizione. Il vuoto iniziale si è mutato in silenzio e il silenzio in preghiera. A tratti. Nel silenzio, infatti, è faticoso pregare; è necessario l'esercizio continuo per non avere il fiato corto e abbandonare l’agone. Dicevo a me stessa che la fede non può essere abitudine, presenza passiva al culto, non può consistere nella sensazione di appagamento derivante dalla ripetizione di atti e di parole. Di tanto in tanto, nella mia mente risuonavano queste parole: “O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall'alba; di te è assetata l'anima mia, a te anela il mio corpo languente in arida terra, senz'acqua” (Sal 63, 1-3). Adesso che tutto sembra essere tornato come prima, è il tempo opportuno per ricordare. I periodi critici della vita, che tendiamo a rimuovere come negativi, rappresentano sempre una svolta, la scintilla del nostro progredire. Occorre ri-creare la normalità, ricreandola, confortandola di nuova linfa. Il terreno da dissodare, irrigare, concimare è la nostra casa, quella in cui abbiamo vissuto i giorni di silenzio. La catechesi avrà nuovo inizio da quel silenzio, lo coltiverà con cura, come dimensione del nostro essere in cui trovare la vera Libertà e condividerla con gli altri.

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