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A Diogneto

Ritrovato nel XV secolo in Turchia sul banco di un pescivendolo che intendeva incartarci il pesce, A Diogneto è un breve opuscolo ritenuto dagli studiosi “la perla apologetica cristiana, custode limpida dei contenuti evangelici e specchio per una giovane Chiesa”, un vero e proprio ponte di passaggio fra la letteratura sub-apostolica e quella apologetica propriamente detta del II secolo. Dimenticato per secoli, ignorato dai Padri della Chiesa, non si hanno notizie certe dell'autore né del destinatario, indicato col nome fittizio di Diogneto. L'ipotesi più reale tende a riferire l'opera ad uno scrittore di ispirazione paolina vissuto nella prima metà del II secolo, destinata ad un pagano e scritta con un duplice intento: difendere i cristiani dalle accuse loro rivolte da ebrei e pagani, e presentare la fede cristiana affinché il lettore possa anche lui credere e divenire così un "uomo nuovo". Diversa per impostazione da ogni altra opera cristiana del tempo, A Diogneto vede il dialogo con i non cristiani non come una tattica per fare adepti, ma come essenza costitutiva della fede e ne offre una soluzione laica, anche se prende sempre spunto dal tema religioso. L'opera rappresenta una lettura straordinariamente moderna del mondo e della Chiesa perché non cade nella tentazione, oggi presente in una certa parte del mondo cattolico, di demonizzare il mondo in quanto tale, cogliendo la ricchezza e l'essenza della presenza dei cristiani nel mondo. L'autore vuole esporre << in quale dio i cristiani ripongono la loro fiducia >>, non definisce il Dio dei cristiani contrapposto alle divinità pagane, ma ne rintraccia i lineamenti a partire dal loro vissuto e dal culto. Piuttosto che fornire definizioni teologico dottrinali, propone un cammino a ritroso: il vissuto e il culto dei cristiani rivelano la natura del loro Dio. Mentre i culti pagani, così come il culto ebraico, davano un valore funzionale ai sacrifici, compiuti per ottenere benefici dalla divinità, << come se Dio avesse bisogno di qualcosa >> (At 17), il Dio dei cristiani non ha bisogno di alcuna offerta (tutto appartiene a Lui) e ha fatto dono di ogni cosa agli uomini perché le usino a loro beneficio : << Il sacrificio di cose materiali alla divinità sarebbe un po' come respingere questo dono rendendo Dio simile a un idolo >>. La fede nel Dio dei cristiani non ha nulla di nazionalistico, linguistico o culturale e i cristiani non si differenziano dagli altri per particolari segni esteriori : << né per territorio, né per la lingua, né per il cibo, né per il modo di vestire >>. Non esiste una città o una società cristiana : << I cristiani non abitano mai città loro proprie, non si servono di un linguaggio proprio, né conducono un particolare genere di vita... sono sparsi nelle città greche e barbare secondo il territorio che a ciascuno è toccato loro in sorte >>. Per questa ragione il cristiano non si ritaglia una propria zona franca e nemmeno fonda un sistema ideologico proprio (la cristianità !), perché deve apparire in tutto uguale a coloro in mezzo ai quali opera, senza tuttavia svendere la propria fede. << Essi sono nella carne, ma non vivono secondo la carne, trascorrono la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo >>. I loro compagni di strada vedranno la natura di Dio dalle loro opere ed è bene che ignorino da quale fonte quelle opere hanno origine, affinché credano che quello stile di vita sia possibile anche a loro, pur non essendo cristiani. La coabitazione quotidiana tra cristiani e non cristiani nel medesimo contesto è l'orizzonte al cui interno vengono elaborate le argomentazioni della Lettera, che intende presentare la fede cristiana tenendo conto dei problemi generati dalle differenze tra lo stile di vita dei cristiani e quello della maggioranza pagana. << I cristiani amano tutti e da tutti sono perseguitati : i Giudei muovono loro guerra perché li considerano come fossero stranieri, i Greci li perseguitano e li detestano nonostante loro stessi non sappiano dire la causa di tanto odio >>. La riflessione dell'autore sulla presenza dei cristiani nel mondo ha come punto di partenza la realtà storica del suo tempo : un periodo di persecuzioni, in cui il cristianesimo è minoranza, sovente disprezzato e conosciuto approssimativamente. Tuttavia l'autore non ne fa motivo di recriminazione, ma legge la situazione a partire dalla fede nutrita dalle Scritture e dall'attesa escatologica. I cristiani abitano la propria patria, ma come domicilio temporaneo, << come immigrati che hanno il permesso di soggiorno >> (cit.), adempiono a tutti i loro doveri di cittadini e << portano il peso della vita sociale con interiore distacco. Ogni terra straniera è per loro patria e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti e hanno dei figli, ma non li espongono ; condividono con tutti la stessa mensa, ma non lo stesso talamo >>. Il mondo non è giudicato ostile, ma riconosciuto come il luogo in cui operare perché siano sempre più vissuti e visibili l'amore, la giustizia e la pace che scaturiscono dal Vangelo : << In una parola, ciò che l'anima è per il corpo, i cristiani sono per il mondo >>. Proprio per questo, anche alla luce delle recenti violenze perpetrate contro i cristiani in molti Paesi del mondo, la Lettera a Diogneto appare quanto mai attuale.



di Santino Coppolino

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