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Ai nastri di partenza dell’amministrazione Biden

Lo scorso 3 Novembre gli Stati Uniti d’America sono stati chiamati a scegliere la persona che guiderà questa grande super potenza internazionale nei prossimi quattro anni. A vincere la sfida elettorale - sconfiggendo il presidente uscente Donald Trump - è stato il settantasettenne Joe Biden che il 20 Gennaio 2021 diventerà ufficialmente il 46° Presidente della storia americana e che sarà affiancato dalla prima vice-presidente donna (e di colore), Kamala Harris.

"Mi impegno ad essere un presidente che non cerca di dividere ma di unire, che non vede Stati blu o Stati rossi ma Stati Uniti (...) Per fare progressi dobbiamo smettere di trattare i nostri avversari come nostri nemici”: è questo un breve passaggio del primo discorso del candidato Biden a seguito della vittoria elettorale e che già sembra delineare un chiaro cambio di passo rispetto all’amministrazione uscente di Trump, fatto questo che non interessa solo gli Stati Uniti in se ma che, per l’importanza internazionale

di questa Nazione, riguarda il mondo intero. E’ innegabile che negli ultimi quattro anni, con la presidenza di Donand Trump - mostratosi sempre come lo spavaldo e l’invincibile “uomo solo al comando” - si è imposta in America ed anche in Europa e nel nostro Paese, una visione e una corrente di pensiero, favorita anche dall’uso distorto dei social, meno inclusiva e più settaria della società e del mondo nei diversi ambiti della politica, dell’economia, della cultura, del sociale e che ha aiutato, se non addirittura ampiamente favorito, l’acuirsi di conflittualità inter-statali, inter-generazionali e inter-etniche. In questo complesso e frastagliato contesto e in un momento delicato della storia dell’umanità come quello attuale segnato dalla devastante vicenda del covid-19, tra le tante sfide, al nuovo presidente, che con la sua lunga esperienza politica ha già dato prova – all’opposto di Trump, muscolare e provocatorio - di essere un uomo di riconciliazione, allergico ai toni forti, e con una spiccata attitudine per la mediazione e la ricerca di una soluzione comune, spetterà l’impresa grande di “normalizzare” il clima interno ed esterno agli USA, di rimettere al centro le buone Politiche, quelle basate sui fatti reali e non su quelli "alternativi", sulla onesta verità e non sulla "post-verità", sull’inclusione e non sul settarismo, sull'attenzione a tutti i portatori di legittimi interessi, soprattutto i più deboli, e non solo al proprio gruppo di riferimento; di riallacciare il dialogo con gli altri Stati su grandi temi quali quello dei cambiamenti climatici, dei rapporti commerciali, del disarmo nucleare, della pace internazionale. Proprio su questi temi poi potrà forse anche sanarsi o quanto meno ridursi la profonda lacerazione in atto tra la Chiesa di papa Francesco - l’uomo della “laudato sii”, di “Amoris Laetitia” e di “Fratelli tutti” - e il cattolicesimo americano, ultimamente quasi sempre ed esclusivamente equiparato a quella frangia “scismatica” che ha nell’ultra-destra di Trump la sua base e il suo radicamento: Biden pur se convintamente di formazione politica laica, non ha mai nascosto di essere un cattolico praticante e anzi, in molte interviste il neopresidente americano si è riferito alla sua fede come alla bussola di fondo della sua vita privata e nelle istituzioni.

Sarà la storia a dirci se Joe Biden riuscirà nell’impresa di guidare il suo Paese e di trainare da leader e non da capo il mondo fuori dalle tempeste del momento presente, ma quel che è certo è che l’America ha deciso, non senza spaccature e polarizzazioni, di affidarsi a un timoniere che, dal punto di vista umano, per formazione e per storia personale, non poteva essere più di così diverso dal suo immediato predecessore.


di Gabriele Panarello

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