Amen! Vieni, Signore Gesù
Le parole hanno una loro forza, racchiudono un mondo che si rivela solo a chi si dispone bene nei loro confronti, a chi si sofferma e riesce a penetrare nel loro profondo.
Ne bastano poche a farci comprendere il significato di questo Natale, lontani dalle luci, dal frastuono del consumismo, dall’affannosa corsa contro il tempo; poche parole, per scendere nel cuore del Natale, per comprendere e vivere il suo mistero ogni giorno. Di solito chiudiamo ogni preghiera dicendo “Amen”, parola che per noi equivale a “così sia” o a “in verità”. In ebraico la parola “Amen” ha la stessa radice del verbo che significa “credere” e del verbo causativo “amàn”, che equivale a “rendere fermo”, “rendere stabile”; da qui deriva il significato finale di “prestar fede”, “credere”, da qui deriva il senso profondo della fede, che è un’iniziativa di Dio, non volontà dell’uomo.
Quando noi diciamo “Amen” facciamo, così, riferimento sia alla fedeltà di Dio verso di noi sia alla nostra fiducia in Lui; non pronunciamo una semplice formula di chiusura di preghiera, ma facciamo un'autentica professione di fede; è come se dicessimo “Io credo”.
Affermiamo, quindi, la nostra fede nel Dio dell'alleanza, nel “Dio dell'Amen” (Is. 65,16), il Dio fedele alle sue promesse fino al punto di offrire suo Figlio per la nostra salvezza. Il Dio della verità. L’essenza e le speranze stesse della Chiesa sono racchiuse nell’ aramaico “Maranatha”, un'espressione unica che compare una sola volta nel Nuovo Testamento (1Cor. 16,22), ma che può essere divisa in due diversi modi: “Maràn athà”, “Il Signore nostro è venuto”, che suona come una professione di fede nella Parusia già realizzata, e “Maràna thà”, corrispondente a “Signore nostro, vieni”, che si configura come una preghiera, una richiesta della venuta del Signore. Nell'una e nell'altra accezione “Maranatha” rappresenta un'affermazione di fede nel Signore che è diventato uomo e ha abitato in mezzo a noi, e che tornerà. Poche parole che comprendono il mistero dell'Incarnazione, quale noi ri-scopriamo ogni anno nel Natale, e la fede della Chiesa nell'attesa della Parusia, la fede della Sposa che invoca la venuta del Signore Gesù. Predisponiamoci, dunque, nei confronti della festività del Natale con una maggiore consapevolezza, facendo memoria della nascita di Gesù, della “Parola fatta carne” (Gv. 1,14) già avvenuta “nella pienezza del tempo” (Gal. 4,4); vigilando e volgendo le nostre menti, il nostro animo alla venuta gloriosa di Cristo alla fine dei tempi, quando egli instaurerà il suo Regno; aprendo, infine, il nostro cuore a Gesù, facendo in modo che Egli prenda dimora in noi, fino al punto di poter ripetere le parole dell’apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me (Gal. 2,20). Buon Natale! Anzi, “Maranatha!”, “Vieni, Signore Gesù!”
di Tinuccia Russo
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