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“Antiqua et nova” Una lettura da seminarista

Quando un giovane seminarista si prepara al ministero ordinato, il suo orizzonte si apre non solo alla celebrazione dei sacramenti e alla predicazione della Parola, ma anche all’accompagnamento delle persone nel loro cammino di vita. La Chiesa, “Madre e Maestra”, ci insegna che l’annuncio del Vangelo non si colloca al di fuori della storia, ma la attraversa, illuminandone le sfide e le opportunità. In questo contesto, la recente nota Antiqua et nova, pubblicata dai Dicasteri per la Dottrina della Fede e per la Cultura e l’Educazione, si presenta come uno strumento prezioso per leggere il fenomeno dell’intelligenza artificiale alla luce della fede e della ragione.

 Il titolo stesso richiama la missione del discepolo di Cristo: “Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Il prete è chiamato a essere questo scriba, capace di custodire la tradizione viva e, al contempo, discernere i segni dei tempi. E l’intelligenza artificiale (IA), è certamente uno di questi segni.

 Il documento evidenzia il ruolo ambivalente dell’IA: essa può essere uno strumento potente per l’educazione, la salute, il lavoro, ma anche un rischio se viene usata per manipolare la verità, disumanizzare il lavoro o persino uccidere attraverso armi autonome.

Da seminarista, questa riflessione mi interpella profondamente. Come annunciare il Vangelo in un mondo in cui la tecnologia sembra sostituire la relazione? Come aiutare i giovani, le famiglie, gli anziani a vivere un rapporto sano con l’IA senza cadere nella dipendenza o nella deresponsabilizzazione? Il pericolo che il documento denuncia è chiaro: il rischio di una società tecnocratica in cui l’uomo non è più il fine, ma solo un mezzo.

 Se l’IA è al servizio della persona, allora può essere un grande alleato del bene comune; se invece prende il posto dell’uomo, diventiamo schiavi di ciò che abbiamo creato.

Antiqua et nova avverte che l’intelligenza artificiale potrebbe ridurre lo sforzo critico degli studenti, spingendoli a delegare il pensiero agli algoritmi. Importante è la “vocazione della scuola” a formare esseri umani e non semplici esecutori di informazioni. Se la scuola diventa un semplice deposito di dati, si smarrisce la sua anima.

Come futuro presbitero sto davvero formando me stesso al compito di educatore? Sono pronto ad essere una guida che non si limiti a ripetere formule, ma sappia accompagnare le persone nel discernimento di ciò che è vero, buono e giusto, anche nel mondo digitale?

Un’altra questione cruciale riguarda il rischio che l’IA sostituisca non solo l’intelligenza umana, ma anche il desiderio di trascendenza. In una società che sempre più affida il proprio benessere agli algoritmi, si rischia di dimenticare ciò che ci rende veramente umani: il bisogno di senso, di amore, di Dio.

Sant’Agostino scriveva: “Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”(Confessioni, I,1). Nessuna intelligenza artificiale potrà mai colmare questa inquietudine. Un chatbot può dare risposte, ma non può amare; un algoritmo può prevedere i nostri gusti, ma non può offrirci il senso ultimo della vita.

Qui emerge, ancora una volta, il ruolo del presbitero. Se il mondo si affida alle macchine, noi siamo chiamati a testimoniare che l’uomo non è fatto per il calcolo, ma per la comunione. Se la società si rifugia nell’efficienza, noi dobbiamo annunciare la gratuità. Se il cuore si illude di bastare a sé stesso, noi dobbiamo ricordare che solo in Dio trova riposo.

 La nota Antiqua et nova non è solo un documento sulla tecnologia: è un richiamo a un’intelligenza veramente umana, capace di custodire il bene, la verità e la bellezza. Per chi si prepara al sacerdozio, essa diventa un’occasione per interrogarsi sulla propria missione: non essere solo un amministratore del sacro, ma un pastore che aiuta le persone a orientarsi in un mondo complesso, senza perdere la loro umanità.

Il futuro non è scritto dagli algoritmi, ma dalla libertà dell’uomo. E noi, chiamati a servire Cristo e i fratelli, dobbiamo essere testimoni di questa libertà, offrendo non solo risposte, ma un orizzonte di speranza. Come scrive Alessandro D’Avenia in un suo celebre romanzo: “Solo chi ha un perché abbastanza grande può affrontare qualsiasi come”.

Il nostro compito è proprio questo: aiutare l’uomo a trovare il suo perché. E quel perché ha un volto e un nome: Cristo Gesù.


di Louis Manuguerra



 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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