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Bartolo Cattafi: la poesia come tentata decifrazione del mondo

“Il sei luglio alle cinque del mattino/ il tram a vapore partito per Messina/ emise dall’imbuto fumo/ faville e un lungo fischio,/ appena nato girai la testa/ verso quel primo saluto della vita.(Cancro). Con questi versi, che si possono leggere su una targa commemorativa nei pressi del Monumento ai caduti di Barcellona P.G., nel luogo in cui un tempo si trovava la stazione del tram, Bartolo Cattafi ricorda il giorno e l’ora in cui venne al mondo.

Il 6 luglio scorso, in occasione del centenario della nascita del poeta, dall’Amministrazione e dalla Pro Loco sono state organizzate varie manifestazioni (deposizione di una corona ai piedi del monumento in piazza San Sebastiano, messa di suffragio nella Basilica, convegno presso i Giardini dell’Oasi), che hanno visto una modesta partecipazione da parte dei barcellonesi. Si potrebbe affermare “pochi ma buoni”: magra consolazione. Gli addetti ai lavori sono consapevoli dello scarso seguito di cui gode oggi la poesia, ma sanno anche che occorre interrogarsi e trovare risposte riguardo alle aspettative disattese; non avere aspettative sarebbe un male maggiore. Il convegno, in particolare, sarebbe stato per la cittadinanza un’occasione per conoscere l’uomo, prima che il poeta; ciò che si impone, infatti, nella poesia di Cattafi è la vita in tutte le sue sfaccettature, nella concretezza del reale, nell’esperienza vissuta; per questo motivo il messaggio affidato ai versi arriva al lettore con immediatezza e con energia ed è noto a tutti che “il lettore vuole leggere uomini e non dottori di poesia…In Cattafi senti sempre lontano un miglio che ti trovi di fronte ad un uomo prima che a un letterato” (G. Caproni).

La pubblicazione del volume “Tutte le poesie”, a cura di Diego Bertelli, con introduzione critica di Raoul Bruni, (Le Lettere, Firenze, 2019) offre la possibilità di seguire, attraverso la disposizione diacronica delle raccolte di Cattafi, un percorso non solo poetico, ma anche esistenziale, che si snoda tra immagini di vita e di morte, con una netta prevalenza di quest’ultime, fors’anche per la malattia che causa la prematura scomparsa del poeta a soli 57 anni: “quel brivido attaccato alla schiena/ come un filo di morte serpeggia/ e intorno è sparsa la calda vita” (Brivido). Falciato da un cancro ai polmoni, muore il 13 marzo del 1979; due anni prima, dando voce al senso della precarietà della vita, scrive versi profetici sul suo destino di morte, sul destino di ognuno di noi: “Di tutto diffido/del pugnale di bruto/della tenera carne di cesare/dello stesso destino/che passi presto il tempo/vengano alfine Marzo e le sue idi.” (Marzo e le sue idi). Cattafi rifiuta l’idea della poesia come “mestiere”, con i suoi ferri e un suo laboratorio, e “le fredde determinazioni dell’intelligenza, le esercitazioni, sia pure civilissime, le sperimentazioni”, ed afferma che “la poesia appartiene alla nostra più intima biologia, condiziona e sviluppa il nostro destino, è un modo come un altro di essere uomini”. Rare sono le dichiarazioni di poetica, affidate soprattutto ai suoi versi e convergenti verso una concezione della poesia come ispirazione, come enthusiasmòs, nel senso etimologico della parola greca: il poeta lega la scrittura ad uno stato di ebbrezza, ad uno stordimento dovuto a sensazioni troppo acute, troppo dolci, sente di essere “preda di un vento interiore” (Visita), come visitato dal divino, obbediente come altre “creature prone/ ad un’alta dettatura” (Scrittura, lettura). Come sottolineato da Raboni, a partire dal ’64, con la raccolta “L’osso, l'anima”, nella produzione poetica di Cattafi si registra una svolta, il passaggio da un registro sostanzialmente descrittivo e narrativo ad un registro astratto e speculativo; i paesaggi lirici si riducono all'essenziale per fare emergere la nuda essenza delle cose: “Avanti, sputa l'osso:/ pulito, lucente, levigato,/ senza frange di polpa,/ l'immagine del vero” (L’osso); il poeta volge uno sguardo disincantato al male dell’esistenza: “Fra tanti mali/ tuonando cala qualcuno/ stendendo la sua ombra/ le sue ali/ e se scrivo una pagina/ è una pagina di desolazione/ sterminata/ di parole nere” (Desolazione).

Strano il destino del nostro poeta, ignorato a lungo dalla critica, escluso dalle antologie della Poesia italiana del Novecento, misconosciuto dalla maggioranza dei barcellonesi; la conoscenza del suo messaggio umano e poetico deve passare attraverso le aule scolastiche, attraverso la fresca capacità interpretativa delle giovani generazioni. Perché non promuovere un certamen di scrittura creativa a lui dedicato, rivolto a tutte le istituzioni scolastiche nazionali e incentrato di anno in anno su uno dei numerosi temi che la sua opera offre? Leggere la poesia è come entrare in un mondo altro, in un'altra vita; leggere la poesia insegna la leggerezza di conoscere attraverso gli occhi, l'animo di un altro “io”, a sgretolare il blocco granitico del nostro egocentrico sentire, a ridurlo in sabbia, in polvere, in fine comprensione del mondo.


di Tinuccia Russo

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