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Chiesa e tradizioni

Nella Chiesa, da tempo, è presente un eccessivo attaccamento acritico e aprioristico a una certa tradizione. Pur sapendo che l'avversione per tutto ciò che è nuovo è segno di conservazione e che questa è sinonimo di staticità, viviamo come se non fosse possibile venire fuori da questa paura che ci attanaglia e ci impedisce di agire in libertà. Arriviamo al punto di ingessare lo Spirito che sempre soffia per «far nuove tutte le cose», a fermare e a conservare ogni cosa perché il vino vecchio sembra migliore di quello nuovo. Non diamo spazio alla novità dello Spirito sopravvalutando autorità e istituzioni (quasi fossero le sole depositarie della Verità e dei carismi) dimenticando che ogni potere, quello religioso in primis, è pericolosamente incline a conservare e perpetuare sé stesso. Rinchiusi in un dogmatismo rituale, scadiamo in un sacramentalismo magico assumendo atteggiamenti troppo indulgenti nei confronti di devozioni che sanno di stantio, al limite tra fede e superstizione. Tendiamo a diffidare di ogni novità, di ogni refolo di vento che possa minimamente scuotere ciò che è stabilito. Vengono fuori, così, gruppi di fans della tradizione che non vedono di buon occhio la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa (Dignitatis Humanae), perché «si ha diritto ad ascoltare la propria coscienza solo se questa è retta e vera, altrimenti no, perché l'errore non ha diritto di cittadinanza» (cit.). A stabilire se una coscienza è retta e vera, ovviamente, ci pensano loro. Così vengono conculcate la dignità dell'uomo e la sua capacità di giungere alla verità. Quà e là si odono le voci dei profeti di sventura che urlano la loro paura di perdere l'identità cattolica, il peso nella società, il poter contare tra gli altri, urla di chi rimane tenacemente attaccato a un Dio del passato, incapace di vedere nell'oggi il volto del Padre che ancora opera. E' vero che la barca della Chiesa è da sempre sballottata dai marosi, ma dimentichiamo ciò che Gesù ci dice: «Perché avete paura, uomini di poca fede?». Nessuno intende rinnegare il passato, tanto meno la Tradizione (quella con la T maiuscola), ma per impedire che ciò che riteniamo memoria divenga catene è necessario «cercare, inseguire, interrogare non la tradizione dei padri, ma ciò che loro stessi cercavano» (cit.). Tornare alle sorgenti cui si è abbeverata la Chiesa delle origini e riscoprire che proprio lì è riposto il seme di ogni speranza futura. Non è facile accettare una società multireligiosa, pluralista, multiculturale, così come è difficile avere il cuore e la mente aperti al presente e al futuro. Siamo dunque destinati a rimanere schiavi del passato?

Più volte Gesù nel Vangelo ci ricorda che siamo chiamati a servire, ma quando il servizio si trasforma in potere come il potere mondano, esso prende le sue caratteristiche dal mondo, non dal Vangelo. Come, allora, sdoganare lo Spirito? Come liberarlo dalle catene che lo tengono legato? Come evitare che il comando di Gesù: «Duc in altum, dirigi al largo», invece che gioia e fiducia, generi paura ? Come vincere la paura del nuovo che si insinua tra di noi, che imbalsama lo Spirito e rischia persino di spegnere il Vangelo ? Come rompere le sbarre che ci imprigionano nel passato? Gesù dice di non temere perché siamo nelle mani del Padre, siamo nelle mani di Colui che si prende cura di noi e ci avvolge ad ogni istante nella sua misericordia. «Senza il fuoco del roveto ardente e della Pentecoste la Chiesa è il sacrario delle ceneri più che il crogiuolo dell'umana vicenda» (cit.). Forse è giunto il tempo di gettare in mare l'inutile zavorra che rischia di portare a fondo la barca, tutto ciò che non serve per una navigazione spedita e sicura, per tornare all'autenticità della Parola di Gesù e alla sua proposta alternativa del Regno. «La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri».(Gustav Mahler)


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di Santino Coppolino

 
 
 

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Creato da Filippo Maniscalco

Gestito Antonino Cicero

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