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Chiesa, Guerra e Pace

Nel colloquio in videoconferenza tra Francesco e il patriarca di Mosca Kirill del 15 marzo scorso, il Santo Padre ha affermato che la Chiesa “non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù.” Il Pontefice chiarisce: “Un tempo si parlava anche nelle nostre Chiese di guerra santa o di guerra giusta. Oggi non si può parlare così.” Dall’altra parte, il segretario di stato del Vaticano cardinale Parolin, in un’intervista al settimanale spagnolo “Vida Nueva” ha dichiarato che “il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il proprio Paese comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi”. Insomma, torna il dibattito tra legittimità della guerra e obiezione all’uso delle armi, nato nei primi secoli del Cristianesimo.

Nel secolo scorso, Giovanni XXIII, nel contesto geopolitico della guerra fredda ed ecclesiale dell’inizio del Concilio Vaticano II, nella “Pacem in terris” afferma che nel nostro tempo “in cui è disponibile la forza atomica, riesce impensabile (“Alienum est a ratione”) che la guerra sia più strumento di reintegrazione di diritti violati”. Tuttavia, nel 1965 i padri conciliari nella “Gaudium et spes” ripropongono la teologia della guerra giusta, condannando “ogni azione bellica che indiscriminatamente punta alla distruzione di intere città e regioni”, attribuendo legittimità, in casi particolari, al ricorso alle armi come strumento di difesa di stati e di popoli. Lo stesso Paolo VI, confrontandosi con le lotte di liberazione dei paesi del Terzo mondo, nella “Populorum progressio”, pur condannando la violenza, ammette la possibilità dell’” insurrezione rivoluzionaria” in caso di “una tirannia evidente e prolungata.”

Giovanni Paolo II, nel periodo della corsa agli armamenti nucleari di Nato e Patto di Varsavia, in un discorso tenuto all’ONU il 7 giugno 1982 sulla questione del disarmo, sottolinea il “bisogno di pace” del mondo intero, ammettendo, tuttavia, che “la discussione fondata sull’equilibrio” concepito “come una tappa sulla via del disarmo progressivo, può ancora essere considerata moralmente accettabile.” Papa Wojtyla, allo scoppio della Prima guerra del Golfo del 1991, abbandona la teologia della deterrenza e della guerra giusta e più volte si adopera per la pace: nella riunione con i patriarchi e i vescovi dei paesi implicati nella Guerra del Golfo, il 4 marzo 1991 sottolinea che l’ordine internazionale nato dopo la Seconda guerra mondiale “ha escluso la guerra come mezzo utile per la soluzione delle controversie tra le nazioni”; negli anni ’90 interviene con forza sui conflitti nella ex Jugoslavia e nel 2003 per fermare la Seconda guerra del Golfo. Più recentemente, Benedetto XVI col suo nome si ricollega idealmente a Benedetto XV, il pontefice che nel 1917 definì la Prima guerra mondiale “inutile strage”, definito da Ratzinger “coraggioso e autentico profeta di pace”. Infine, inequivocabili sono le parole di Francesco nell’Angelus di domenica 20 marzo scorso sulla guerra in Ucraina, “una crudeltà disumana e sacrilega”.


di Alessandro Di Bella



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