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Chiesa? Un cammino condiviso

Che ne sarà della nostra comunità parrocchiale tra qualche generazione? E della Chiesa italiana e universale? So bene che chi sta leggendo queste righe, starà pensando da un lato alla sproporzione della domanda e dall’altro all’impossibilità di dare una risposta, eppure una casa non si costruisce da un momento all’altro. Ecco che allora se ci sta a cuore il futuro del nostro stare insieme come comunità credente, uno sguardo “oltre” dobbiamo provare a lanciarlo, dicendoci da dove veniamo, ma sapendo pure leggere il nostro presente nella consapevolezza di quali sono le prospettive future verso cui ci incamminiamo. Certo, il timoniere di questa barca è un Altro e continuerà ad essere lo Spirito Santo a condurla dove vuole e come vuole, ma lo Spirito può pure indicare la rotta, ma poi sta al desiderio di ciascuno il lasciarsi condurre come singoli e come chiesa.

Siamo portatori di una storia secolare che ha attraversato alterne vicende e che ci hanno fatto ereditare tradizioni, edifici, opere d’arte, stili pastorali e di trasmissione della fede: il messaggio cristiano è stato veicolato in ogni modo e, almeno negli ultimi due secoli in modalità a noi più note, ha raggiunto ogni ambito della società al punto che i ritmi della vita sociale e civile sono stati scanditi e intrisi di cristianità.

Oggi non è più così e questo è accaduto non solo perché i più anziani non sono stati in grado di tramandarlo ai più giovani - quelli che oggi sono “la fascia adulta” della popolazione - ma anche e soprattutto perché da almeno cinquant’anni la nostra società ha iniziato a mutare pelle: ha incominciato ad abitare diversamente le città e a farlo fianco a fianco con persone di altra provenienza etnica e cultura, a considerarsi come uomo e come donna in modi differenti dal passato, a costruire relazioni interpersonali diversamente, ad intendere le distanze in maniera nuova, ad approcciarsi in modo nuovo a temi come il vivere o il morire… più in generale, ha sempre più fatto sua la concezione di prendere la vita in una maniera meno stabile e più fluida, meno condivisa e più individualista e più capace di costruirsi da sé e secondo una propria, autosufficiente verità. In tutto questo Dio, la fede, l’annuncio del Vangelo dove sono finiti? Ecco che il nostro tempo, dopo che il covid ha contribuito a smontare impalcature che ancora resistevano, ci pone davanti questi interrogativi e guardando, con quella domanda iniziale, in prospettiva la questione si fa sempre più urgente.

Nella recente intervista che papa Francesco ha rilasciato, ad una simile domanda del conduttore Fazio ha risposto dicendo che la Chiesa continuerà la sua opera se saprà essere “in cammino”. Mi piace questa immagine: sapremo dire qualcosa ancora al mondo distratto e saturo se sapremo come Chiesa farne parte camminandoci insieme, ascoltandoci reciprocamente e condividendo a partire da fatiche, cadute, scandali, gioie, progetti, realizzazioni, la personale umana esperienza che facciamo di Dio nella nostra vita. Un cammino insieme dunque dei pochi consacrati di uno stesso territorio, diocesi, comunità religiosa che nella diversità dei carismi sanno essere famiglia che condivide l’amore per il Vangelo; un cammino insieme dei parroci con le comunità - un piccolo gregge - in cui il parroco impari a vivere davvero tra la sua gente e con la sua gente condividendo il quotidiano più fuori che dentro gli uffici e dove le comunità - gli operatori pastorali - crescano in responsabilità e missionarietà che si traduce in quella testimonianza di vita che non guarda gli altri dall’alto in basso ma che genera spontaneo l’invito “vieni e vedi anche tu… e anche se non vieni per me sei un fratello o una sorella da accogliere”; un cammino con le famiglie e per le famiglie - ogni tipo di famiglia - dove lasciare che si accenda la fiaccola della fede e poi aiutarle ad alimentarla; un cammino con ogni uomo o donna, senza pregiudizio o scandalo, dove prima che l’insegnamento di dottrine o l’amministrazione di sacramenti possa istaurarsi una relazione profonda e personale dove si guarda all’altro semplicemente per quello che è: un figlio amato da Dio.

Il tempo della quaresima ci conduca nel deserto e lì il Signore ci aiuti a fare esperienza di Lui e di quello che Lui suggerisce al nostro cuore perché si traduca in stili di vita autentici prima ancora che in strutturali riforme di superficie: è in un Dio fattosi uno di noi che si può continuare a trovare la risposta alle domande di senso che ognuno si porta dentro e che non hanno affatto abbandonato la persona del terzo millennio.

di Gabriele Panarello



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