Comunità di Bose: una frattura poco comprensibile
Le recenti spiacevoli vicende che hanno coinvolto la Fraternità di Bose e il suo fondatore ed ex priore Enzo Bianchi hanno destato l’attenzione dei mass media, non solo di quelli di orientamento cattolico ma anche di quelli laici. Ripercorriamone brevemente la vicenda.
Nel gennaio 2017 Enzo Bianchi si dimette e il capitolo dei monaci di Bose elegge, a larga maggioranza, Luciano Manicardi come nuovo priore. Quella di Manicardi, da diversi anni braccio destro di Enzo Bianchi, sembra una scelta in continuità con la storia della giovane comunità monastica, nata in un villaggio sulla Serra di Ivrea a conclusione del Concilio Vaticano II, distintasi per il suo carattere ecumenico (al suo interno accoglie anche ortodossi e riformati) e il suo impegno nel dialogo tra le varie “chiese sorelle”. Dopo l’elezione, il fondatore non lascia la Comunità ma la sua presenza sembra risultare ingombrante per l’esercizio dell’autorità del nuovo priore. Tra i fratelli e le sorelle di Bose vi sono tensioni, forse già presenti prima delle dimissioni di Enzo Bianchi.
Viene richiesta dalla stessa Comunità guidata da Manicardi una visita apostolica che, condotta da padre Amedeo Cencini, si svolge dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio successivo, in cui vengono ascoltati tutti i monaci di Bose, compresi il fondatore e il nuovo priore. Sulla base di tutti gli elementi raccolti, il 13 maggio scorso il cardinale di Stato Parolin emana un “decreto singolare” in cui ordina al fratello Enzo Bianchi di abbandonare Bose entro 10 giorni dalla notifica del decreto. L’ex priore non osserva l’ordine, così il 4 gennaio arriva l’ingiunzione da parte del delegato pontificio padre Cencini di allontanarsi da Bose per trasferirsi a Cellole San Gimignano, nella diocesi di Volterra, una delle fraternità legate a Bose, entro lo scorso mercoledì delle Ceneri.
Buona parte dei media vicini al Vaticano e alla CEI sottolinea che Enzo Bianchi disubbidisce alla Chiesa e allo stesso Papa Francesco, imputando così al fondatore di Bose la totale responsabilità del clima di tensioni sempre crescenti. Da altre fonti, invece, si sottolinea che il nuovo priore Manicardi ha dimostrato scarsa capacità di gestire i conflitti interpersonali, inevitabili in qualsiasi struttura sociale, soprattutto in una comunità di tipo cenobitico come quella di Bose. Taluni commentatori, addirittura, paventano un tentativo di “normalizzazione” di Bose da parte di alcuni settori delle gerarchie vaticane, proprio attraverso l’intervento del delegato pontificio padre Cencini che avrebbe agito senza imparzialità ed equilibrio ma con il solo obiettivo di umiliare Enzo Bianchi.
Qual è la verità? Difficile stabilirlo dall’esterno, affidandoci ai rumores che circolano sulla stampa e nella blogosfera. Occorre però considerare che, quando ci sono fratture, spesso le responsabilità sono di entrambe le parti. Le divisioni esistevano anche nelle comunità cristiane delle origini, come ricorda San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. La storia ci insegna anche che negli ordini religiosi e, più recentemente, in movimenti e congregazioni non è raro che si attraversino periodi di tensione dopo che al fondatore succede un’altra guida. Possiamo solo sperare – e pregare - che avvenga una riconciliazione all’interno dei fratelli e delle sorelle di Bose affinché quel luogo possa presto tornare ad essere credibile segno profetico per costruire, attraverso il dialogo ecumenico, l’unità dei cristiani delle varie chiese sorelle.
Alessandro Di Bella
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