Da Pavia, un pezzo di strada
“A volte, per dare speranza, basta essere una persona gentile, che metta da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza.” (papa Francesco): il Mercoledì delle ceneri ha catturato la mia attenzione questo breve passaggio del ben più lungo messaggio che il papa ha consegnato alla Chiesa per questa quaresima 2021.
Ascoltavo queste parole mentre mi trovavo nel salone “Terzo Millennio”, all’interno della struttura “Casa del Giovane” di Pavia dove avevo accompagnato un gruppetto di ragazzi della comunità per partecipare ad un breve momento di preghiera in cui anche loro, così come desideravano, avrebbero ricevuto la cenere sul capo. Nelle parole del papa ho così trovato, inaspettatamente, quello stile, semplice e molto concreto, da poter assumere in prima persona, nella quotidianità, in questo tempo di preparazione alla Pasqua per me così diverso da tutti quelli vissuti prima d’ora.
Esattamente un mese fa - il 28 Gennaio - arrivavo a Pavia per vivere un tempo di esperienza - parte del mio cammino formativo nei Missionari del Prez.mo Sangue - presso la comunità “Casa del Giovane”: una realtà educativa creata dal ven. don Enzo Boschetti negli anni ‘70 in cui vengono accolti ragazzi e adulti segnati da difficoltà dovute all’uso di sostanze e non solo. All’interno della comunità i ragazzi - seguiti dai sacerdoti e dai consacrati che proseguono l’opera di don Enzo insieme con educatori, medici, psicologi e un gruppo di volontari di cui anche io ora faccio parte - hanno l’opportunità di riprendere in mano la loro vita, di guardare il loro vissuto spesso segnato da sofferenze e delusioni, di chiamare per nome le loro fragilità senza la paura di dover fuggire via da esse (la droga rappresenta questa via di fuga!) e di costruirsi, anche attraverso l’apprendimento di un mestiere all’interno dei laboratori della comunità, un futuro migliore nella società. Accogliere la proposta dei superiori, lasciare la casa di Albano Laziale, trasferirmi in una terra non tanto lontana, quanto molto diversa dalla mia - dalla nostra! -, vivere con persone totalmente nuove e in un contesto parecchio distante dal mio “standard” è stata sin da subito una sfida avvincente ma allo stesso tempo non sprovvista di preoccupazioni e di ansie dovute al timore di non essere all’altezza della proposta e dei ritmi. “Cristo chiama e, senza ulteriore intervento, chi è chiamato obbedisce prontamente. Il discepolo non risponde confessando a parole la sua fede in Gesù, ma con un atto di obbedienza”: ecco che facendo riecheggiare dentro me quanto avevo letto, qualche anno fa, nel libro “Sequela” di D. Bonhoeffer mi sono lanciato, fiducioso di stare andando dietro a Qualcuno e certo che seguire il Vangelo, per ogni cristiano, significa sempre e costantemente uscire fuori da se stessi per andare incontro all’altro.
E così eccomi qua pienamente immerso in questa avventura in cui certo non mancano le fatiche dovute al dover tenere insieme tante cose all’interno di giornate intense, in cui mi misuro anche con l’esperienza del lavoro all’interno del laboratorio di carpenteria (dove sto imparando anche io, con alcuni dei ragazzi, a maneggiare il ferro e gli strumenti da lavoro), ma che mi sta dando la grande opportunità, la inestimabile grazia di toccare con mano la sofferenza di tanti giovani e meno giovani, di stare con loro e di farli sentire davvero e non a parole - attraverso proprio gli atteggiamenti suggeriti da papa Francesco - persone degne di stima e amate e che sono, come ciascuno di noi lo è, totalmente altro e molto di più dei loro errori e dei loro fallimenti, già redenti e “ripagati” da Cristo con la sua morte e la sua risurrezione.
Gabriele Panarello
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