Dalla distruzione alla rinascita Le comunità Cristiane in Iraq
“Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”: la settimana che oggi si apre ci conduce a vivere e a celebrare i misteri pasquali della passione, della morte e della risurrezione di Cristo e nelle nostre assemblee - un po’ meno affollate per le restrizioni dovute alla pandemia - ascolteremo ancora una volta questo ultimo grido di misericordia elevato al Padre da Gesù morente in croce verso i suoi carnefici.
Nell’umanità di oggi continua la passione del Signore e quel gemito elevato duemila anni fa sul Golgota è il grido che tanti cristiani in diverse parti del mondo hanno continuato a ripetere fino al presente, come raccontano i testimoni, mentre la persecuzione ha annientato la loro quotidianità.
Il recente viaggio di Papa Francesco in Iraq da un lato ci ha dato l’opportunità di tornare nei luoghi in cui tutto - per Cristiani, Ebrei e Musulmani - ha avuto inizio: in quelle terre, come ci racconta la Bibbia con la storia di Abramo, cittadino nomade di Ur, è iniziato il dialogo tra Dio e l’uomo; dall’altro ci ha permesso di guardare con attenzione proprio alle sofferenze che tanti fratelli e sorelle hanno subito a causa della loro fede negli ultimi decenni, in particolare con la drammatica persecuzione di massa compiuta tra il 2014 e il 2017 dall’Isis quando molti per non essere trucidati sono stati costretti a fuggire dalle loro case.
Tanto dolore, tanto sangue versato dai cristiani in Africa come in Medio Oriente, lì dove affondano le radici del nostro credo e dove la ricchezza e la varietà dei riti e delle tradizioni è sempre stato un dato di fatto prezioso, significativo e arricchente per la Chiesa universale.
Proprio nell’odierno Iraq, nella Piana di Ninive, quella della comunità cristiana è una presenza importante e antica testimoniata anche negli Atti degli Apostoli, che nel corso dei secoli, tra invasioni, dominazioni, persecuzioni, migrazioni, guerre e sconvolgimenti vari è riuscita a sopravvivere e a mantenere accesa la fiamma della fede e dell’annuncio Evangelico. Qui la Chiesa oggi è si tanto piccola ma allo stesso tempo tanto ricca: oltre ai cattolici di rito latino o romano (quello che viviamo e celebriamo dalle nostre parti) proprio lì abbiamo ancora oggi la presenza di comunità cristiane di Caldei, Siriaci, Armeni e Melchiti che celebrano con riti di origine molto antica, testimonianza importantissima della ricchezza e della varietà con cui la Chiesa nei secoli, rispettando tradizioni, usi e costumi dei popoli, ha elevato la sua lode a Dio, professando nel Signore Gesù, morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini, un’unica fede e un unico battesimo. Proprio la capitale politica dell’Iraq, la città di Baghdad, si trova oggi ad essere il centro e la sede di tutte le comunità cristiane cattoliche: è sede metropolitana ed eparchia propria del patriarca di Babilonia dei Caldei le cui celebrazioni si svolgono quasi per intero cantate e in lingua araba o aramaica, la lingua parlata da Gesù; è sede dell’arcidiocesi di Baghdad dei Latini il cui rito ben conosciamo, dell’Arcieparchia dei Siri la cui liturgia - il cosiddetto rito antiocheno - risulta essere la più antica e completa ancora in uso e, infine, dell’Arcieparchia degli Armeni... considerati tutti insieme, i cristiani sono oggi poco più di cinquecentomila mentre prima del grande esodo dovuto alle persecuzioni dell’Isis le stime parlavano di circa un milione e quattrocentomila cristiani: un piccolo gregge, una sparuta minoranza a cui il papa ha fatto sentire, non senza coraggio, la sua vicinanza e quella della Chiesa intera.
Pur se la strada da percorrere sulla via del dialogo e della pacifica integrazione è ancora molta e tortuosa, la comunità cristiana dell’Iraq, nella sua varietà e nella sua specificità, rappresenta oggi per tutti noi un vero e autentico segno Pasquale: lì è stato compiuto il faticoso passaggio da una situazione di morte e di distruzione ad una nuova condizione di lenta rinascita in cui, da veri seguaci del Risorto, poter essere ancora una volta in quel territorio testimonianza concreta e segno vivo di pace, di progresso, di sviluppo e di riconciliazione tra le persone e tra i popoli.
Gabriele Panarello
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