top of page

Della morte e della consolazione

Un fitto filare di cipressi, all’ingresso principale del mio paese natale, e un cancello sui pilastri del quale faceva mostra di sé l’epigrafe “Fummo come voi, sarete come noi”, ricordavano ai passanti la fugacità della vita e li invitavano a fare memoria dei defunti, ma erano anche un monito: “Memento mori, ricordati che devi morire”. Un modo semplice, quasi sereno, che rendeva a noi familiari l’idea della morte e l’intimo legame tra i vivi ed i morti, la comunione dei santi della professione di fede. “Tutti, tutti dormono sulla collina”, direbbe Edgar Lee Masters. In verità il cimitero per i credenti è un luogo della città dove riposano, dormono, coloro che attendono la Risurrezione. Chissà, mi chiedo,se qualcuno ricorda che novembre è il mese dei “fedeli” defunti e che giorno due ricorre la loro “Commemorazione”.

La lettura di un recente studio sociologico sul tabù della morte, sulla sua rimozione dal nostro vissuto, e la notizia di un’interessante visita guidata di una scolaresca al cimitero monumentale di Milazzo hanno risvegliato in me la coscienza che anche nella omiletica e nella catechesi sono pressoché scomparsi i “novissimi” (morte, giudizio, inferno, paradiso). La morte è stata nel tempo privatizzata, resa anonima, ospedalizzata, sottratta allo sguardo della pietas o, paradossalmente, ostentata dai media come dissacrazione dei corpi delle vittime delle guerre in atto, delle violenze della società, degli incidenti stradali e sul lavoro, uno show o un film horror, ma tutto rigorosamente virtuale, distante dalle nostre vite. La morte dell’altro è anestetizzata, non ci interroga, non provoca in noi il pensiero che essa è una “possibilità” per noi e non ci sollecita a ripensare il senso della cose, ciò per cui vale la pena esistere. Abbiamo bisogno, credo, di riscoprire che l’altro è parte della nostra vita, che la sua morte ci impoverisce. Abbiamo bisogno del dono delle lacrime, dell’elaborazione del lutto, della consolazione per la perdita di un congiunto, di un amico, di ogni persona. Volga a noi lo sguardo materno Maria “ora e nell’ora della nostra morte” e infonda nei nostri cuori la speranza della risurrezione e di un nuovo futuro il Dio della vita.


di Mons. Santino Colosi


Comments


bottom of page