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Dove risiede la forza di uno Stato

Giovanni Brusca. Questo nome legato a vicende tristi e criminali che hanno insanguinato la nostra terra è rimbalzato di recente alle cronache perché questo boss mafioso, dopo aver scontato la sua pena in carcere e dopo aver in questi anni collaborato con la giustizia affinché diversi altri mafiosi venissero arrestati e condannati, è stato rimesso in libertà, anzi, a onor del vero, è entrato nel regime di libertà vigilata che spetta ai cosiddetti “pentiti”. L’opinione pubblica a tutti i suoi livelli si è interrogata su questa vicenda e, come purtroppo spesso accade di questi tempi, sui social e non solo non sono mancati insulti e manifestazioni di plateale indignazione contro la magistratura e contro lo Stato, reo di essersi dimostrato debole davanti a questo soggetto e di aver infangato la memoria di chi, come Falcone e Borsellino, ha dato la vita per la legalità.

In realtà possiamo con lucidità dire che nonostante la posizione di Brusca negli anni sia stata molto delicata da affrontare, in questa vicenda sarebbe difficile parlare di resa delle istituzioni o di complotto: a Giovanni Brusca non è stato fatto alcuno sconto ma è stata applicata una norma del codice penale, voluta proprio da chi la mafia l’ha combattuta - primo fra tutti Giovanni Falcone - che consente di recuperare in qualche modo spazi di libertà a chi con la giustizia e con lo Stato decide fattivamente di collaborare nella guerra alla criminalità organizzata.

Come cittadini onesti e come cristiani che vivono dentro la società civile, in una regione e in una città segnate pesantemente dal fenomeno mafioso - nel giorno in cui celebravamo la memoria di San Vito, in un terreno della nostra città venivano ritrovati dei resti umani non ancora identificati ma probabilmente appartenenti a qualcuno dei tanti uomini scomparsi negli anni ad opera di criminali mafiosi - è opportuno soffermarsi per cercare di vedere un po’ più da vicino la vicenda, senza cadere in affrettate conclusioni, provando a tenere insieme il doveroso senso di giustizia e l’altrettanto doveroso anelito di umanità.

Con il mafioso Brusca - parafrasando le parole di Pietro Grasso, oggi politico ma ieri magistrato e collega di morti ammazzati da Cosa Nostra - il nostro Stato a vinto tre volte: quando 25 anni fa lo ha arrestato, quando lo ha convinto a collaborare con la giustizia facendo luce su tante pagine oscure della storia italiana e siciliana e, infine, adesso quando con onore (quello vero) ha mantenuto la sua parola dopo averlo considerato e guardato come persona e dopo avergli dimostrato che la libertà è qualcosa di caro e che solo percorrendo il bene e seguendo la giustizia possiamo, ognuno di noi, guadagnarci e custodire.

Possiamo rasserenarci allora perché con Brusca - come con tutti gli altri mafiosi “pentiti” - le istituzioni italiane non hanno dimostrato debolezza ma al contrario, credo, abbiano manifestato la loro forza e la loro superiorità. Chi prevarica sulla vita degli altri è un criminale e deve scontare la sua pena ma uno Stato di diritto moderno che si rispetti come il nostro non ripaga con la stessa moneta, non misura con lo stesso metro di giudizio di chi delinque, non usa vendetta, mai, neanche con uno dei peggiori e più feroci assassini e questo lo fa perché è più forte e perché la sua forza risiede proprio nella convinzione di essere diversi da loro, dimostrando nei fatti anche a soggetti così, questa abissale diversità che rende liberi. Questa è la nostra democrazia, questa è la nostra costituzione repubblicana, questo è anche, in fondo, il Vangelo che ogni giorno proviamo ad annunciare e a vivere.

di Gabriele Panarello



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