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Emigrazione giovanile Impoverimento delle nostre comunità

“Cu nesci arrinesci”, così recita un detto che invita a lasciare la nostra terra, se si vuole avere successo nella vita. Era una frase che si sono sentiti ripetere molti emigranti dopo l’Unità d’Italia, diretti verso i porti di Napoli o di Genova per salpare verso le Americhe o sui treni in viaggio verso vari paesi d’Europa. Dal 1876 al 1976 oltre 25 milioni di migranti lasciano l’Italia, dei quali oltre 2 milioni e mezzo dalla Sicilia, come quasi metà della popolazione italiana di oggi e più di metà dell’attuale popolazione siciliana. A ciò si deve aggiungere l’emigrazione interna, soprattutto verso le zone del “triangolo industriale”: da quanti giovani meridionali è stato preso il “Treno del Sole” con un biglietto di sola andata?

Se fino agli anni ‘70 tale flusso migratorio in uscita dal Meridione era giustificabile anche sulla base della crescita demografica, oggi le condizioni sono mutate: dopo la stabilizzazione del saldo naturale tra nati e morti viviamo in una fase caratterizzata dal saldo negativo e di decremento demografico con una popolazione che tende progressivamente ad invecchiare. Se non fosse per il flusso degli immigrati, essenziali in molte attività economiche, già in questi ultimi anni avremmo vissuto un vero e proprio tracollo demografico.

Eppure dal Meridione e dalla Sicilia si continua a partire. Le nostre città perdono ogni anno numerosi abitanti, molti borghi, soprattutto quelli situati in zone rurali e di montagna, rischiano a breve termine lo spopolamento, in vari casi già verificatosi. Fino a cinquanta anni fa si partiva con la valigia di cartone, oggi i nostri giovani magari hanno il trolley firmato ma le nostre terre continuano a subire un costante depauperamento della parte più attiva della popolazione.

C’è, però, una sostanziale differenza, rispetto ad un passato nemmeno troppo lontano: oggi chi emigra, il più delle volte, ha un titolo di studio, almeno il diploma, molte volte la laurea. Di conseguenza, il Sud e la Sicilia si impoveriscono di giovani istruiti che, tra qualche anno, avrebbero potuto contribuire, con le proprie competenze, al progresso delle nostre comunità. Insomma, l’emigrazione dei nostri giovani ci sta privando di risorse per costruire le nostre città di domani. Per non parlare delle relazioni che vengono recise, relazioni familiari, amicali, affettive, sociali. La mancanza di opportunità di lavoro, la debolezza del tessuto produttivo e talune carenze dell’offerta formativa delle sedi universitarie meridionali, penalizzate da un sistema di finanziamenti che premia le università più “virtuose” e lascia indietro quelle in difficoltà, sono tra le cause più frequenti di tale emorragia. Tuttavia s’intravede qualche segno di una possibile inversione di tendenza, ad esempio, i ritorni di numerosi giovani che, a causa o grazie al Covid-19, possono lavorare da casa per aziende ubicate a centinaia di chilometri di distanza, ma che rimangono ostacolati se le infrastrutture locali restano carenti, nel caso degli home workers la velocità della rete che risulta insufficiente.

In conclusione, la nuova ondata migratoria in uscita dal Sud Italia e, in particolare, dalla Sicilia è un’emergenza da affrontare in tempi rapidi, pena il depauperamento ulteriore di risorse umane per la nostra terra, che non risulta più particolarmente attrattiva nemmeno per i migranti in ingresso. C’è da chiedersi quale possa essere il ruolo delle varie componenti politiche, economiche, sociali e culturali delle nostre comunità per invertire tale tendenza.


di Alessandro Di Bella



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