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Gennaio 2021 - Tra tante macerie, le fondamenta del domani

Mercoledì 20 Gennaio alle ore 12 (ora americana), poggiando la mano sinistra su un’antica e pregevole copia ottocentesca della Bibbia, ha prestato giuramento il 46° Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, assumendone ufficialmente la carica. Nel suo discorso di insediamento il neo presidente ha sottolineato più volte l’urgenza di risanare le fratture che la società statunitense porta al suo interno e lo ha fatto - citando anche papa Francesco - ponendo al centro tematiche e parole ricorrenti quali: “unità”, “uguaglianza”,

“responsabilità”, “accoglienza delle differenze”, “solidarietà”, “rispetto del creato”, “tutela della salute”... vocabolario questo sì ricorrente ed usuale in cerimonie del genere e che, ora, attende una concretizzazione, ma che negli ultimi anni - in America e nel resto del mondo, che all’America e alle sue politiche guarda - era caduto totalmente in disuso. Palcoscenico dell’ “Inaguration Day” è stata, come da tradizione, la sede del Parlamento Americano (Capitol Hill). Il luogo dell’evento ha assunto quest’anno un significato tutto particolare volto a sottolineare la forza della democrazia sulla violenza: quei luoghi che giorno 20 abbiamo visto adornati con le bandiere e abbelliti a festa, sono gli stessi che solo un paio di settimane prima - esattamente il 6 Gennaio - sono stati assediati e “violentati” nella loro secolare sacralità da uno sparuto gruppo di rumorosi teppisti giunti lì, sulla spinta di un sussulto patriottico, con l’intento di minacciare i parlamentari e bloccare la seduta in cui si stava ratificando la vittoria di Biden sullo sconfitto presidente uscente Trump. Sedata la rivolta, non senza spargimento di sangue, sono rimasti i pesanti interrogativi su quanto fragile e in via di sgretolamento sia il sistema democratico e, più in generale, la società americana e, si può ben dire, di tutto l’occidente che dal dopoguerra in avanti si è nutrito del “mito americano”.

Tutto questo non è solo frutto di disfunzioni causate da quella deriva che i sistemi costituzionali moderni stanno inesorabilmente attraversando, in quanto si basano su delicati bilanciamenti di contrapposte esigenze e su una serie di compromessi - col tempo diventati i punti deboli - tra alternative ideologie politiche. È più corretto dire che si sono plasticamente viste in quelle ore le grandi disuguaglianze insite nella popolazione americana che rimane divisa da un grande abisso di incomprensioni, alcune di queste di natura tribale e intrise di identità politiche che assumono una consistenza quasi religiosa e sulla cui scorta molti liquidano quelli dell’altra parte come malvagi e pericolosi. Il nazionalismo religioso, in America e in Europa, infatti è uscito allo scoperto come una forza politica autocentrata e non condizionata dalle strutture della Chiesa o dai precetti dell’ortodossia religiosa, e questo a scapito sia della vita politica sia di quella religiosa.

La crisi politica americana, dunque, è prima ancora una crisi culturale e ciò che accade in modo macroscopico negli Stati Uniti non è di per se diverso da quello che osserviamo dalle nostre parti: viviamo in una società del “tutto e subito” in cui sono state rimosse le barriere di protezione; tra i tanti ambenti che hanno fatto la loro triste parte, certamente da un lato la scuola, per scelte politiche, e dall’altro l’informazione, sempre più divenuta subalterna al mondo dei social, hanno via via abdicato il loro proprio intento civico dando molta più importanza - anche per spirito di sopravvivenza - più che ai contenuti da veicolare ai profitti da ottenere, contribuendo così al crollo dei valori della società.

Tutto questo che l’attualità ci offre non è certo il punto di arrivo ma, sempre e comunque, un punto di partenza e il fatto che i rivoltosi americani con il loro fomentatore siano oggi degli sconfitti ne è la dimostrazione.

Da cristiani del 2021 e da uomini e donne che operano nella società, non dobbiamo dimenticarci di annunziare, già nel nostro piccolo e tra la gente della nostra comunità e della nostra città, che Dio non si è dimenticato dell’uomo e che Cristo continua a camminare nei solchi della storia, nella quotidianità del nostro tempo, per risollevarci sempre.

Le macerie frutto di questi eventi a cui si aggiungono quelle causate dal covid-19, sono in realtà le fondamenta su cui poggiare, a partire dalle parole-chiave del discorso di Biden,

L’umanità di domani i cui “costruttori” (riprendendo il presidente Mattarella) - facendo memoria di ciò che siamo oggi e di quello che non vorremo più essere - non sono indistintamente gli altri, ma sono io, siamo tutti e ciascuno.

Gabriele Panarello

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