top of page

Giovani. Educazione di genere o educazione sentimentale?

Palermo. Tutto dimenticato. Della violenza di gruppo subìta da una ragazza palermitana all'inizio di quest'estate nessuno parla più. Tutto metabolizzato. Lo scorrere del tempo, grazie ad una sorta di autodifesa insita nell’essere umano, ha rimosso ciò che ha turbato il nostro equilibrio interiore; alcuni avranno dimenticato più facilmente, dopo una sommaria analisi dei motivi che hanno indotto la ragazza ad appartarsi con i suoi carnefici; se l'è cercata. Altri ancora, richiamandosi ad una presunta supremazia del maschio, avranno giustificato quei sette ragazzi, “vittime” della loro esuberanza ormonale giovanile; una bravata adolescenziale. A fare i conti con i “mostri”, che ne hanno disintegrato la dignità per poi sostituirsi ad essa, sarà la vittima, condannata ad una continua ricostruzione di sé come donna, come persona, tutte le volte che le loro voci le risuoneranno in testa, tutte le volte che i loro corpi torneranno a straziare la sua carne. Legittima la reazione di coloro che hanno invocato una pena esemplare per i carnefici; gli psicologi chiamano “escalation simmetrica” il reagire ad una forte emozione con un’emozione di equivalente intensità. Non si risolve così il problema; da un lato la legge deve fare il suo corso, dall’altro è tempo che la società degli adulti si interroghi sulle cause di questi fenomeni aberranti che coinvolgono coloro che sono considerati ragazzi di buona famiglia, come tanti altri. Quale comunità sociale, scolastica li ha nutriti? Potrebbe ciascuno di noi trovarsi nella condizione di essere “genitore di mostri”? Temo di sì; è questa la responsabilità che, come società, dobbiamo assumerci. Di istinto siamo portati a puntare l’indice contro la famiglia, ma anche la scuola e il contesto socio-culturale, comprese le amicizie, non rappresentano più un luogo di riferimento per gli adolescenti, impegnati nella costruzione della propria identità. Individualismo, onnipotenza, ricerca e ostentazione di perfezione, di agiatezza, voyeurismo sono i tratti distintivi della popolazione dei socials, della società “liquida”, in continuo cambiamento, nella quale “consumare”, possedere equivale ad essere. Da ciò discende il rifiuto della fragilità, del fallimento, del limite e, soprattutto, la mancanza di empatia, vale a dire l’incapacità di riconoscere l’altro, se non come oggetto da soggiogare e annientare. All’interno di un branco è più facile che si realizzino tali dinamiche; nel gruppo la sicurezza nasce dalla forza di coesione tra pari che condividono gli stessi valori, sebbene deviati, di certo non dal senso di responsabilità. Tutto ciò che diverge dai valori del branco deve essere “consumato”, anche una donna, ridotta ad oggetto, privata della sua umanità. Urge un’educazione di genere; io preferirei un’educazione “sentimentale”. Ne saranno capaci gli adulti?


Di Tinuccia Russo




Comments


bottom of page