I frutti della Pasqua nel quotidiano
Con la celebrazione della Pentecoste di domenica scorsa si è chiuso il lungo Tempo di Pasqua in cui per cinquanta giorni, come gli Apostoli, abbiamo potuto fare ancora esperieza del Cristo morto e Risorto, vertice e centro della nostra fede.
Mentre si è quasi totalmente assorbiti dalla preparazione di cerimonie o dalla organizzazione di feste patronali che, con la bella stagione, si apprestano a prendere il via, sarebbe bello per ciascuno - singoli battezzati e piccole comunità parrocchiali - potersi fermare un attimo, guardarsi negli occhi, e formularsi (o ri-formularsi) alcune domande, forse, non di secondo ordine nella vita di tutta la Chiesa. Domande che sostanzialmente ruotino attorno ad una questione fondamentale: se oggi, dopo aver celebrato la Pasqua, nella mia vita - pur tra le difficoltà, le fragilità, le sofferenze - ho fatto esperienza della vicinanza e della presenza del Signore Risorto che cammina con me e in me, come posso portare fuori tutto questo così da anche solo incuriosire o suscitare una domanda in chi mi sta intorno nella speranza che la mia/la nostra esperienza diventi anche la sua?
Nella mia personale riflessione sul punto - che condivido volentieri! - mi è stato d’aiuto l’episodio degli Atti degli Apostoli al Capitolo 18 in cui, tra gli altri, si racconta dell’incontro a Corinto tra Paolo e una coppia di sposi Aquila e Priscilla.
Il forestiero Paolo - reduce da una predicazione non proprio di successo ad Atene - trova accoglienza e ospitalità a Corinto nella casa di Priscilla e Aquila, due giudei (non cristiani) giunti da poco in quella città. Alla fine dello stesso capitolo, ritroviamo sempre Paolo che da Corinto si sposta ad Efeso dove lascia come “evangelizzatori” per la comunità proprio i due sposi ormai, a questo punto della storia, divenuti discepoli di Cristo.
A legare i due eventi, apparentemente così agli antipodi, vi è un arco temporale di un anno e mezzo in cui, dice il testo, Paolo vive in casa con la coppia condividendo oltre che la quotidianità della vita familiare anche l’esperienza del lavoro.
Ecco che allora il vivere quotidiano e il lavoro di questo Apostolo, di questo fariseo che di Cristo ha fatto un’esperienza alquanto forte, il suo affrontare le prove e le fatiche di ogni giorno sono divenute per questi due Sposi “analfabeti del cristianesimo” segno e testimonianza della presenza nella sua vita del Signore Risorto al punto di non solo incuriosirli ma di voler condividerne l’esperienza e fare della loro stessa vita di “laici” un segno di evangelizzazione per altri.
Guardando a Paolo, Priscilla e Aquila anche noi, ciascuno di noi si può sentire parte della medesima storia. Se nella nostra vita abbiamo incontrato, per vicende e strade diverse, Gesù Risorto e se di questo incontro proviamo a custodirne e alimentarne il gusto, allora sentiamoci tutti chiamati a testimoniarne la bellezza e la pienezza e non tanto con le parole o gli effetti speciali che non galvanizzano più il mondo distratto e “analfabeta di Cristo” che abitiamo, ma con i gesti piccoli e concreti del quotidiano, nei luoghi e in mezzo alle persone che ogni giorno frequentiamo, certi (e anche sollevati moralmente!) che ad attrarre non saranno le nostre vite - che rimangono contraddittorie - ma colui che questa contraddizione ha scelto non di toglierla ma di abitarla e farla fiorire: Gesù Cristo che proprio per questo è morto ed è risorto.
di Gabriele Panarello
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