Il Covid nei penitenziari
Il sopraggiungere della pandemia da Covid-19 ha svelato diverse criticità presenti nel nostro Paese, sia sotto il profilo organizzativo che dell’essere umano.
Sono aumentate le disuguaglianze, le sperequazioni sociali, le differenze non solo tra gli uni e gli altri, ma anche tra nazioni e tra continenti. Tra i gruppi sociali maggiormente a rischio, sicuramente i detenuti occupano una posizione di primo piano. Ancor prima della pandemia le strutture penitenziarie erano, infatti, epicentri per numerose malattie infettive, a causa di un inevitabile stretto contatto in strutture spesso sovraffollate, di uno scarso accesso al servizio sanitario e di una rapidissima diffusione degli agenti patogeni tra detenuti, visitatori e staff.
L’esperienza della detenzione pertanto ha da sempre rappresentato un rischio per la salute, a causa delle precarie condizioni di alcune strutture, del sovraffollamento e dell’elevato turn over delle persone detenute. L’emergenza sanitaria da Covid-19 si innesca quindi in un contesto precario, ove i numeri non sono incoraggianti. La possibilità di rispettare una tra le più importanti norme di sicurezza, il distanziamento sociale, si scontra con il gravissimo ed atavico problema del sovraffollamento, confermato dai rapporti pubblicati dall'associazione Antigone ad inizio pandemia.
Le strategie messe in atto per preservare i luoghi penitenziari, identificati come delle bombe epidemiche, si snodano tra la regolamentazione della socialità all’interno e la limitazione del contatto con l’esterno.
Sono state, infatti, attivate misure straordinarie, sia per il personale penitenziario, sia per i detenuti, volte a limitare alcuni diritti di quest'ultimi e minando in alcune occasioni i particolari equilibri dell’intero sistema penitenziario nazionale (sono nella memoria di tutti le proteste scoppiate in alcuni istituti in piena pandemia).
La sospensione delle visite da parte di parenti e familiari, così come di tutte le attività esterne e ricreative si è rivelata una misura obbligata di protezione collettiva, costituendo, se si vuole indicare una positività in questo contesto, anche una sfida tecnologica, avvenuta chiaramente con modalità diverse da istituto ad istituto. Si è infatti provveduto a sostituire i colloqui in presenza con le videoconferenze, che hanno permesso ai detenuti di entrare in contatto con i propri familiari e i propri legali in modalità controllata, oltre ad una implementazione delle telefonate mensili. L’introduzione di questi strumenti tecnologici hanno costituito certamente una grande innovazione poiché in alcuni casi hanno permesso a persone che non facevano colloqui con i familiari di riallacciare i contatti con parenti lontani.
Ad oggi ci si auspica che quelle piccole novità, nate in una situazione di emergenza, possano fare da traino per una riflessione più approfondita circa le criticità presenti all’interno delle strutture carcerarie, oltre che motore di un rinnovamento da tempo auspicato, che trasformi il carcere da luogo di mera detenzione in possibilità di riabilitazione sociale.
di Rossella Gatto
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