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Il Natale della mia fanciullezza a Pozzo di Gotto

La sera della Vigilia, anche i visi segnati dalla sofferenza e dagli stenti si distendevano in gioiosi sorrisi.

In molte case, la cucina era modesta, ma genuina. Quella sera si mangiavano, lessate o pastellate e fritte, verdure come cavolfiori e finocchi e, per secondo, l'immancabile baccalà con patate e uva passa preparato con cura dalle donne di casa.

Finita la cena, alcune case si riempivano di persone che abitavano nelle vicinanze, così da far diventare la serata festosa, chiassosa e gioiosa. Era proprio una sacrosanta veglia quella notte, era insolita, eccitante e piena di attesa. Mentre si aspettava l'ora per andare alla Messa di mezzanotte, gli uomini, parlavano in gruppi e giocavano a carte, le donne si radunavano in cerchio parlando allegramente e i bambini prima giocavano con le noccioline per strada “o baddu e a catasta” e poi si disponevano intorno al fuoco ad ascoltare le fiabe delle nonne o la narrazione del viaggio di Maria e Giuseppe e la nascita del Bambin Gesù, il tutto con l'aggiunta di molto più di un pizzico di semplice e genuina fantasia di quel tempo. Poi arrivava il momento tanto atteso: andavamo in chiesa per la messa di mezzanotte con indosso i vestiti nuovi e le scarpe che i nostri genitori ci avevano acquistato proprio per le celebrazioni religiose e per le visite a parenti ed amici durante le feste natalizie, ma che ci dovevano poi durare fino al Natale successivo.

Lungo la strada, nel freddo dell'inverno, si udivano cori di saluti e auguri che scaldavano il cuore e tutto il corpo, tanto da non sentire più il freddo pungente in quella notte così speciale. Poi si entrava in chiesa, che veniva riscaldata da così tanto calore fraterno e da immensa gioia, e la celebrazione della Santa Messa iniziava nell’emozione generale. Il momento di massima emozione si raggiungeva quando il sacerdote annunciava la nascita di Gesù mentre scopriva la statua del Bambinello: ecco, Gesù era nato fra i tanti cuori palpitanti per la gioia. Le campane suonavano festosamente perché il Figlio di Dio era venuto ad abitare in mezzo a noi e, per questo, tutti cantavano "Tu scendi dalle stelle". Quel momento era così emozionante che, quasi tutti avevamo il cuore in fiamme e gli occhi scintillanti. Dopodiché si usciva dalla Chiesa e si andava in processione, passando accanto ai numerosi falò, che accoglievano tutti riscaldando l'aria della notte fredda. Si sentivano i botti dei giochi d'artificio che accompagnavano la processione dai cappuccini alle strade principali della città. Si tornava a casa un po' stanchi per l'intensa

giornata. Camminando, rischiavamo di inciampare perché tenevamo il naso all'insù e gli occhi sgranati verso il cielo, nella speranza di intravvedere la stella cometa e forse anche qualche angioletto.

Arrivati a casa, baciavamo la nostra statua del bambinello nella sua culla all’interno del presepe e dicevamo una preghiera. Poi appendevamo al camino le calze di lana sferruzzate dalla nonna e, con gli occhi chiusi, nel nostro cuore chiedevamo a Gesù un dono diverso da quello del Natale precedente. Infine, il bacio della mamma e tutti a dormire! Fin quando viveva mia nonna materna, molto religiosa e devota che ha dato una forte impronta al mio modo di sentire la fede, ricordo che lei teneva tantissimo alle tradizioni religiose e ogni anno, la sera di vigilia, dirigeva con rigore teutonico la processione di Gesù Bambino.

Prima della messa di mezzanotte si spegnevano le luci in casa e tutti i presenti eravamo chiamati a partecipare al rito gioioso e beneaugurale del trasporto del Bambinello appena nato fino al suo legittimo posto nel presepe.

I più piccoli prima io e mio fratello, aprivamo la processione domestica portando una candela accesa e il piccolo Gesù protetto dall'incavo delle mani e, tutti in fila, percorrevamo lentamente il lungo corridoio soffuso dalla luce tremula della candela cantando, con approssimativa intonazione ma tanto sentimento, "Tu scendi dalle stelle..." Il rito aveva termine con la delicata deposizione del Bambinello nella mangiatoia del presepe, la riaccensione delle luci e il carosello di caldi abbracci e auguri reciproci. Dopo la scomparsa della mia adorata nonna, quella cerimonia è rimasta impressa nel mio cuore e, ancora adesso, canto pensandola abbracciati insieme con mia zia e mamma e mi sento meno solo...canto con la voce del cuore e ritorno felice come allora.

La mattina di Natale, mia mamma, mia zia e mia nonna, ossia le donne della mia famiglia preparavano il pranzo per il grande giorno. Noi bambini ci svegliavamo con il profumo del brodo di tacchino, dei fritti e delle salse che cuocevano nelle pentole e, scesi dal letto, spinti dal borbottio del nostro stomaco vuoto, cominciavamo a riempirci la pancia con gli assaggi. Poi correvamo davanti al camino. I nostri occhi si riempivano di gioia nel vedere le calze rigonfie, ma quella gioia si trasformava ben presto in delusione non appena ne scoprivamo il contenuto: come negli anni passati, e per sempre, noci, mandarini e "melograni" con un po' di mostarda e cotognata.

Subito dopo, però, la delusione scivolava via dai nostri visi nel sentire il concertino delle pentole sul fuoco che accompagnava a ritmo i canti natalizi di mia mamma. E finalmente l'atteso pranzo e lo stare insieme armoniosamente e allegramente: questo era il nostro regalo più grande.

Sulla tavola imbandita a festa, c’era il brodo di tacchino, le tagliatelle fatte in casa, il pollo lesso accompagnato dalle verdure cotte e, infine, il tacchino con le patate, cotto nel forno a legna. Prima del dolce, c’era la pausa dedicata all’immancabile poesia di Natale: ogni nipote, a turno, diceva la sua, in piedi su una sedia, con l’applauso finale di rito da parte degli astanti. Da piccoli eravamo fierissimi di questo momento tutto nostro ma, crescendo, ricordo ancora l’imbarazzo, le risatine degli altri cugini, finché la tradizione si è persa. Quanta fretta si ha di crescere, a quell'età, e come si rimpiange d'essere cresciuti troppo in fretta, dopo! Dopo il dolce, non potevano mancare i giochi: la tombola, il mercante in fiera, oppure semplici giochi con le carte, come rubamazzo, asso pigliatutto.

Ricordo che, nei giorni prima del Natale, i miei mettevano da parte degli spiccioli e le distribuivano in parti uguali fra noi bambini in modo che ognuno di noi potesse avere il suo gruzzoletto da spendere appositamente per i giochi. Poi si ritornava a mangiare dolci e si continuava per tutto il pomeriggio. Non erano stati ancora prodotti i panettoni, i pandori o i tronchi natalizi industriali, ma c'erano gli immancabili panetti di fichi, pane con uva passa e croccante di mandorle.

Questo tanto atteso, grande giorno si concludeva con la recita corale delle preghiere con il rosario e le litanie per ringraziare Gesù, che la nonna proponeva ad un certo punto della notte. L’indomani cominciavamo a visitare i vari presepi, nelle chiese e all’aperto, fino al 6 Gennaio, giorno dell’epifania, che tutte le feste si porta via.

Tratto dalla pubblicazione: Memories: Gli anni più belli. Gocce di memoria per i nostri nipoti. Casa Editrice KIMERIK 2020

Paolo Pirri

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